La particolarità di molti posti in Toscana è
che sono conosciuti, tra la gente, con nomi del tutto diversi da quello
ufficiale. Provate ad esempio ad andare a Pistoia a chiedere dov’è pur
centralissima Piazza San Francesco. Sarete rimbalzati in giro per la città fino
a quando non troverete, bontà vostra, un passante pietoso che vi deluciderà,
perché per tutti i pistoiesi piazza San Francesco è piazza Mazzini, è sempre stato così e sempre
sarà.
E come per lo stadio, appena ho scollinato da
via delle Campora ho chiesto a un ometto dove fosse il Bozzi, lui mi ha
guardato strano, poi ha detto “Ma il du’strade?” perché un Toscano che è
toscano la “e” finale di due non la pronuncerà mai, cosi come per noi il numero
duecento è dugento, punto e basta.
Comunque bene o male ci arrivo, e questo stadio
alla fine si chiama Gino Bozzi (ufficiosamente fin dal dopoguerra ma
ufficialmente solo dal 2016 ), con tanto di insegna. Si trova nel quartiere 3, in
via Stefano Borgonovo, un altro che a Firenze ricordiamo col cuore stretto, e il
signor Gino Bozzi, ci informa una targa, era un partigiano, una delle tante
vite spezzate da quella strega imbecille chiamata guerra.
E’ fine giugno, una giornata di quelle in cui
veramente ti viene voglia di credere che il sole non tramonti mai, e subito
parte in testa De Gregori, “sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che
batte sul campo di pallone…”. Lo stadio ovviamente è chiuso, anzi no, ci sono
dei giardinieri a sistemare la siepe, dal parcheggio si vede qualcosa, uno
spicchio di campo e di tribuna, i miei primi contatti con lo stadio delle
nostre ragazze, che poi è anche quello della primavera maschile (quella
femminile invece gioca al San Marcellino, purtroppo per me dall’altra parte della città)
e della squadra di eccellenza del Porta Romana, forse troppi piedi anche per un
campo di erba sintetica.
Devo dirlo, non sarà la perfezione (una sola
tribuna coperta, forse troppo poco) ma a me il Bozzi piace. Prima di tutto è veramente
a Firenze, in una bellissima zona tra il Poggio imperiale e il Galluzzo,
facilmente raggiungibile dal centro, non come il Milan che fa giocare le
ragazze a Monza, o come la Juventus che gioca a Vinovo e le sue partite più
importanti addirittura ad Alessandria e Vercelli, cosa che sinceramente non mi
so spiegare. No, chi viene a vedere la
Fiorentina se la gusta all’ombra del campanile di Giotto, niente paura.
In questo stadio, però, da quella giornata di
fine giugno sono riuscito a tornare ed entrare solo a inizio novembre, una
giornata cupa perfetto contraltare di quella che ho appena raccontato, perché
le prime due in casa della viola le ho saltate, per malattia e problematiche
varie; ma la gara col Milan, roba per cuori forti e con Commisso e figlio in
tribuna, è stato un battesimo degno. E avevo ragione, per qualche misterioso
motivo, al Bozzi l’atmosfera è magica, è veramente un sentirsi a casa.
C’era gente, ma poteva essercene ancora di più.
Un pubblico variegato, sia uomini che donne, ma pochi giovani e pochissimi
bambini, a parte una, dolcissima, con il pallone ufficiale ACF Fiorentina che
rincorreva, educata ma implacabile, le calciatrici con un pennarello indelebile
per farselo griffare. Queste sono le immagini che vorremmo vedere sempre al
Bozzi, perché credetemi, i bambini e le bambine ce li potete portare, è un
ambiente caldo, sicuro, protetto, i cori sono simpatici, se scappa qualche
parola colorita non lo sarà certo di più di tante che sentono a scuola o in
casa. Può darsi che in qualche scontro
di vertice con rivali storiche a qualche spettatore un po’ di nervi possano scappare
( e con questo non giustifico, io con gli esaltati sono tollerante zero) ma non
ci sono, e spero non ci saranno mai, le dinamiche potenzialmente pericolose del calcio maschile. Il calcio
femminile è una realtà in grande fermento, ha bisogno di noi tifosi che
paghiamo il biglietto e sosteniamo il movimento, ma ancora di più ha bisogno di
bambini che imparino il tifo pulito, e di bambine che si innamorino di Alia, di
Ilaria, di Tatiana, di Greta, di Stephanie, di Paloma, di Frederikke e tante
altre calciatrici formidabili che possono prendere a modello per quando
cominceranno a tirare i primi calci al pallone. E perché no, lasciate che si
innamorino anche di qualche avversaria, portatele a vedere la Giacinti, la Bonansea,
la Bartoli, la Cernoia, la Marinelli e altri dei nostri talenti più puri.
Dopo la partita, io e un tifoso milanista con
tanto di sciarpa rossonera abbiamo aspettato insieme le ragazze, ci siamo
scambiati i telefoni per scattarci selfie a vicenda con giocatrici di entrambe
le squadre, e poi ci siamo salutati con una bella stretta di mano dandoci
appuntamento a Milano, anzi Monza. Vedete, si può fare.
Il Du Strade? casomai le du strade?
RispondiEliminaQuello stadio trasuda di storia. Casa della Rondinella fin dal lontano 1979, a cui ho assistito, aveva subito una profonda ristrutturazione. Lo stadio esisteva gia dagli anni 20 e fino al 1945 si chiamava stadio del Littorio. Poi con la liberazione ha assunto la denominazione di stadio Gino BOZZI.
RispondiElimina