Le squadre storiche del calcio femminile hanno più di una bandiera. Se si parla del San Miniato Siena, poi, pochi anni di vita ma con tanto amore, se ne trovano quante ne volete. Clara Meattini, Ilaria Gurgugli, Valeria Mazzola sono solo alcune. Ci sono persone che sono maturate, o addirittura nate e vissute calcisticamente, con questo verde sul cuore, ma credo che nessuna incarni il San Miniato tanto quanto Francesca Solazzo, semplicemente perché ne ha condiviso le sorti dai primissimi anni di esistenza fino al fallimento di questa estate, è stata innamorata di questa maglia quando era in difficoltà e nei fasti del triplete, la vetta che però fu anche il preludio alla fine di tutto, come se non potesse mai più esserci un anno altrettanto bello; e ora che per fortuna, dai fallimenti di due società, un nuovo progetto calcistico sta nascendo a Siena città Francesca è stata chiamata a farne parte e per lei, centrocampista importante, un faro, anzi una lanterna, di quelli che impostano il gioco e dettano i tempi, che a 28 anni sta entrando nella maturità calcistica perfetta, inizierà un'ennesima avventura calcistica all'ombra della torre.
Avere Francesca sul blog è fantastico per me, non nego che la "corteggiavo" da questa estate, dalla sera in cui ci capitò di fare due tiri a pallone, ma quando prendi una botta emotiva come hanno preso queste ragazze è chiaro che per qualche tempo devi riordinare le idee; ma niente e nessuno toglierà a questi fiori d'acciaio la voglia e la passione, quindi perché esiste il Viola e il rosa? soprattutto per far conoscere le storie come quelle di Francesca Solazzo, grazie a tutte coloro che hanno la voglia e la forza di raccontarmele.
Che poi questa intervista è anche un documento sul calcio senese di un passato recentissimo ma che è già sprofondato, in quanto l'epopea del primo San Miniato si è comunque conclusa, con la sua storia dolce e amara, che è già stata raccontata su questo blog ma è sempre bello riascoltare, specialmente da una voce così sensibile.
E ora, come sempre, vi lascio con Francesca.
Ciao Francesca, benvenuta su "Il viola e il rosa" vuoi innanzitutto presentarti ai lettori?
Ciao Omar, grazie per questa opportunità e per la pazienza che hai avuto con me. Mi chiamo Francesca Solazzo, ho 28 anni e gioco a calcio da ormai 17 anni.
Macché pazienza, anzi avrei compreso se ti fosse occorso ancora del tempo per chiamare i ricordi col loro nome.
Parlaci di Francesca bambina; chi o cosa ti ha trasmesso la passione per il calcio?
Non so in realtà quando sia nata la mia passione per il calcio, ho sempre pensato di esserci nata. All’inizio però per me il calcio erano i passaggi in spiaggia con mio zio, le partitelle sotto casa con gli amici o durante l’intervallo a scuola.
È stato mio nonno a farmi avvicinare al vero calcio giocato. Lui sapeva che avrei voluto farlo proprio come sport e sapeva che in fondo neanche io pensavo fosse possibile. Avevo 11 anni, di calcio femminile non avevo neanche mai sentito parlare e l’unica possibilità era una squadra maschile, ma mi sembrava solo un sogno. Lui invece mi disse che avrei potuto farlo, mi accompagnò a parlare con una scuola calcio (il Siena Nord) e per 3 anni mi scarrozzò avanti e indietro ad ogni singolo allenamento e partita.
Complimenti a tuo nonno, veramente, è bello e importante che una persona matura abbia creduto in una ragazzina che voleva giocare a calcio, non è affatto scontato.
Credo che come tante altre calciatrici avrai iniziato a giocare in squadre maschili; come sono state le prime esperienze? e che rapporto hai avuto coi compagnucci, ti hanno accettata subito o hai dovuto farti rispettare?
Ricordo con piacere i primi anni di calcio in una squadra maschile. Ero abituata a giocare con i maschi, non conoscevo bambine con la mia stessa passione e per me era del tutto normale giocare insieme ai maschi. Ho giocato titolare in tutti e 3 i campionati, anche se c’è da dire che non eravamo una squadra molto forte e che la presenza di una femmina in squadra ci faceva guadagnare un punto per ogni partita, a prescindere dal risultato.
Poi a 14 anni dopo un torneino con la scuola qualcuno mi notò e per la prima volta sentii parlare del calcio femminile a Siena.
Infatti, arriviamo ai tuoi 14 anni e alla primavera del Siena. Com'è stato ritrovarsi in una squadra tutta al femminile? ti è occorso tempo per adattarti alla nuova realtà? e quali sono le compagne di viaggio che hai incontrato già in quel frangente?
Come detto per me era una cosa un po’ strana giocare in una squadra femminile, perché non mi era mai capitato di incontrare altre ragazze amanti di questo sport. Gli anni della primavera del Siena li ricordo sempre con tanto affetto, sia per il calcio giocato che per le mie compagne. Qui ho conosciuto le mie amiche più grandi, il mio fedele “capannello”: Clara Meattini, il mio Cap in campo e nella vita, Ilaria Gurgugli e Alice Carniani. Con loro ho condiviso gli ultimi 14 anni della mia vita, in campo e anche fuori dal campo, anno dopo anno, squadra dopo squadra.
Ed è bello quando grazie allo sport si formano le amicizie di una vita, niente cementa un rapporto più che lottare per uno stesso obiettivo.
So che giochi come centrocampista centrale; questo ruolo è stato tuo fin da subito o prima ne hai provati altri? e grazie a chi hai capito che era il ruolo più congeniale per te?
Se devo essere sincera ho sempre giocato come centrocampista centrale. Non posso quindi parlare di un allenatore che mi abbia scoperta, ma posso certamente parlare di quello che più di ogni altro ha creduto in me, Claudio Pacciani.
Claudio è stato il mio allenatore negli ultimi 3 anni, che sono poi gli anni della mia migliore resa calcistica. Credo che un allenatore non sia importante solo per tattiche o schemi, ma anche per la fiducia che riesce a trasmetterti. Un giocatore che gioca senza sentirsi sicuro riesce a rendere al 20%, uno che lo fa sentendo la fiducia dell’allenatore rende al 200%.
Claudio è stato importante perché grazie a lui e alla sua fiducia sono riuscita a rendere molto di più di quanto pensassi di fare. Ha sempre creduto in me (forse un po’ troppo) e mi ha regalato una sicurezza calcistica che non ero mai riuscita a provare.
Conosco Claudio per averlo intervistato e mi è sembrata una persona competente e appassionata, ottimo direttore d'orchestra di una squadra strepitosa, e sono contento di quello che mi dici di lui, soprattutto per la sicurezza che ti ha saputo trasmettere e che spero non ti tolga mai più nessuno.
Dopo 4 anni nelle giovanili senesi passi alla mitica Stella Azzurra di Arezzo; come è stata per te la prima esperienza in una prima squadra?
L’anno della Stella Azzurra rappresenta per me il passaggio da una primavera ad una prima squadra. È stato per me un anno sicuramente importante, soprattutto perché lì ho conosciuto tante persone che poi ho ritrovato a San Miniato negli anni successivi. Li ho imparato come funzionano le cose in una prima squadra, non ero più nella mia primavera, ero in una vera realtà calcistica.
Dopo l'esperienza Aretina, come tante ragazze che devono portare avanti i loro progetti, smetti a malincuore di giocare per 3 anni per frequentare l'università, ma nel 2014 ricominci nel club al quale sei legata anche nell'immaginario collettivo dei tuoi tifosi, ovviamente parlo del San Miniato. Ecco, puoi raccontarci l'inizio della tua grande storia d'amore con questi colori?
Come hai detto sono arrivata a San Miniato dopo 3 anni di stop. Dico sempre di aver smesso di giocare per colpa dell'Università, ma la verità è che avevo perso un po' lo stimolo di fare un sacrificio così grande per un qualcosa che non mi appassionava più come prima. Arrivo quindi a San Miniato con la necessità di ritrovare quello stimolo e quella passione che ai nostri livelli sono il vero e proprio motore di questo sport. Devo dire che fin da subito a San Miniato ho ritrovato ciò che del calcio mi mancava di più.
San Miniato era all'epoca ai primi anni di vita. Una squadra nata per divertirsi, con zero soldi (pensa che i primi anni eravamo noi giocatrici a pagare il pullman per le trasferte), una di quelle squadre che sopravvive solo grazie alla passione, sia delle giocatrici che dello staff. Mi sono sentita fin dal primo giorno a casa, perché era proprio quel tipo di calcio che cercavo. Un calcio che riusciva a divertirmi ma senza portarmi via troppo tempo. Insomma, il classico hobby.
L'anno in cui sono arrivata a San Miniato la squadra era appena stata ripescata dalla Promozione in Eccellenza. Un ripescaggio che ci aveva colte un po' impreparate. L'anno calcistico sotto il punto di vista del campionato è stato decisamente faticoso. Abbiamo perso la maggior parte delle partite, anche con punteggi molto pesanti. Siamo arrivate a giocarci la retrocessione nell'ultima partita di campionato, uscendone sconfitte.
Di quest'annata difficile ricordo però l'unione della squadra. Per finire un campionato in cui riesci a fare 10 punti per miracolo hai bisogno di uno spogliatoio molto forte ed unito, un gruppo di ragazze che nonostante le difficoltà e le delusioni riesce sempre a trovare un motivo per allenarsi, per pagarsi le trasferte e tornare a casa quasi sempre sconfitte. Ecco, per me questo è stato il primo vero amore sul campo da calcio. Perdevamo sempre, ma io ero felice di giocare lì e sapevo che il tempo ci avrebbe dato ragione. In effetti poi è andata così.
"Una squadra che va avanti solo grazie alla passione" Ecco, si capisce come tu abbia vissuto l'essenza più pura del calcio, quello più picaresco e avventuroso, quello povero ma non miserabile, quello con pochi mezzi ma non amatoriale, quello che più resta nel cuore di chi lo pratica e anche di chi lo segue, che detto tra noi i titoli passano, sono le avventure che restano, e voi avete vissuto anni di avventure calcistiche forse irripetibili, voi e chi ha avuto la fortuna di essere li, di seguire ogni vostra impresa. Ho seguito squadre che perdevano spesso, ma ora del risultato non me ne ricordo più, mi ricordo i saluti, l'atmosfera carica prima della partita, la consapevolezza di essere Davide ma senza la paura di affrontare Golia, è quello che secondo me rimane nel cuore.
In ogni caso un San Miniato che con gli anni diventava sempre più forte e convincente, mettendo a tacere le malelingue dall'altra sponda, avevate pure un coro goliardico "E ora come allora, al San Miniato mai" riferito a coloro che vi snobbavano nella prima ora..ecco, come è evoluto il San Miniato fino all'anno del triplete?
Dopo l'annata disastrosa in Eccellenza ripartiamo dalla Promozione. Nel frattempo il Siena femminile fallisce e la squadra comincia piano piano a rinforzarsi. Questo è anche l'anno della nascita del Florentia, una squadra che fin dal primo anno era fuori categoria. Finiamo il campionato al secondo posto, proprio dietro al Florentia, ma il ripescaggio ci premia nuovamente e approdiamo in Eccellenza. Da questo momento in poi è sempre Eccellenza, con la squadra che si rinforza anno dopo anno, ma senza mai perdere quell'ossatura di base che dalla Promozione è arrivata poi in Serie C. A San Miniato ho sempre avuto allenatori che hanno creduto in me, da Andrea a Claudio e anno dopo anno sono riuscita a crescere calcisticamente proprio come la mia squadra.
Intermezzo; ti è capitato di segnare qualche goal? quali sono le reti, in tutta la tua carriera, che ricordi con più piacere, quelle a cui ripensi nei momenti di malinconia?
Sicuramente la tripletta contro il Filecchio nell'annata 2018-2019. La mia prima (e ultima) tripletta che incoronò il San Miniato campione d'Inverno.
Complimenti, spero ti sia portata il pallone a casa!!
Arriviamo ora all'anno magico, all'anno storico del San Miniato, il 2018-2019, con il mitico Triplete; vittoria del campionato di eccellenza, vittoria della coppa regionale e della coppa Italia di categoria. Raccontami tutto quello che vuoi, il blog è tuo.
Lo sai bene, dell'anno del Triplete io potrei parlare all'infinito. Di quell'anno potrei descriverti nel dettaglio ogni partita, ogni gol subito e ogni gol fatto. Eravamo una squadra forte, senza soldi ma forte. Credo che la nostra arma in più sia stata proprio questa. Il calcio femminile attorno a noi era cresciuto, le giocatrici per venire da noi chiedevano gli stessi soldi che le altre Società offrivano loro e da noi di soldi ce n'erano pochi. Certo, non dovevamo pagarci più le trasferte e qualcosa in fondo al mese entrava, ma non potevamo competere con le altre Società che stavano crescendo. Ad inizio anno la domanda di tutti era la stessa: "Sono forti, ma riusciranno a finire l'annata con una Società così poco organizzata?'. Non solo ci siamo riuscite, ma lo abbiamo fatto scrivendo anche una pagina della storia del calcio femminile di Siena.
Il San Miniato era questo: le docce erano fredde, i palloni vecchi, i pulmini (quando c'erano) erano tutti rotti e se si trovava il campo libero per allenarsi era un evento. Ma noi eravamo forti, vincevamo e ci divertivamo e tutto il resto non contava.
Ciò che ho amato di più del San Miniato è stato anche ciò che ho odiato di più quando tutto è finito. Ho amato il San Miniato per la sua semplicità, per la mancanza di soldi che ci rendeva tutte complici di una stessa passione (ma chi ce lo fa fare?), per la mancanza di organizzazione che rendeva tutto così genuino e naturale. Insomma, chi era a San Miniato era lì perché ci voleva stare, non per i soldi, non per la carriera calcistica, perché al di fuori dello spogliatoio di aspetti positivi ce ne erano davvero pochi. Tutte queste cose che ho amato così tanto sono state anche ciò che hanno portato alla fine di questa bellissima realtà. Il San Miniato era nato ed era cresciuto grazie a tante persone che per anni hanno fatto sacrifici per questa squadra. Giocatrici, allenatori, accompagnatori e anche tifosi. Quando alcune di queste persone hanno "mollato" ed è rimasta solo la Società (che in realtà dovrebbe essere il vero motore di una squadra), nessuno si è più sbattuto per noi, portando al triste finale che tutti conoscete.
Ma tornando al triplete... Quando l'anno è iniziato ricordo che guardai i nomi delle componenti della squadra e pensai "Cavolo, quest'anno siamo forti!". Ma se a settembre mi avessero parlato di vittoria del Campionato, vittoria della Coppa Toscana e vittoria della Coppa Italia di categoria avrei fatto una grossa risata. Anche perché noi eravamo "solo il San Miniato", proprio quello del coro “al San Miniato mai”. Invece quell'anno abbiamo iniziato a vincere e non abbiamo più smesso.
Di quell'anno non ricordo solo le vittorie in campo, ma anche la grandissima unione dello spogliatoio. Stavamo bene insieme dentro il rettangolo di gioco e fuori e tra allenamenti, partite, cene e aperitivi quell'anno sono stata più a San Miniato che a casa.
Vabbè, intervento da incorniciare, hai riassunto tutta l'essenza di un movimento in queste righe, da far studiare alle esordienti, veramente...se sapessi mai di un libro in lavorazione che tracci un viaggio sentimentale nel calcio femminile invierei questo pezzo alla casa editrice (o potrei un giorno scriverlo io...ma si, sogniamo forte, ho imparato da voi ragazze).
Sempre riferito all'anno del triplete, rispettando il numero del 3; dimmi tre tue "foto" interiori, tre istantanee che hai nella mente, tre ricordi indelebili.
Non voglio essere scontata e non parlerò delle tre partite più importanti, quelle che ci hanno permesso di conquistare il triplete. Anche perché l'anno del triplete è stato molto di più. Scelgo quindi tre momenti che meglio rappresentano ciò che ho provato quell'anno.
Il primo non è un momento vero e proprio, ma una serie di rituali che mi hanno accompagnato per tutta l'annata. L'anno del triplete è l'anno della stessa canzone in macchina per arrivare al campo la domenica con le mie compagne di viaggio Clara e Ilaria. È l'anno della macchina parcheggiata lontano dal campo tutte le domeniche per colpa di un fioretto: "Se oggi vinciamo e segni, parcheggiamo tutte le domeniche qui" (anche se era a 300 metri dal campo). Abbiamo vinto e ho fatto gol e dal quel giorno, ogni domenica, io e Clara ci siamo fatte 300 metri a piedi per raggiungere il campo. Ma è anche l'anno delle super mega (le mie ex compagne capiranno), della foto di rito e di tutte quelle cose extra calcistiche che hanno accompagnato ogni allenamento e ogni partita.
Il secondo momento è invece un momento meno felice, perché anche se l'anno del triplete è l'anno delle mie più grandi gioie calcistiche è anche l'anno di una delle delusioni personali più grandi: il rigore sbagliato contro il Doccia. Quella partita l'abbiamo pareggiata, dando il via ad una serie di risultati negativi che alla fine ci hanno fatto perdere il primato in classifica (anche se per una sola settimana). Stavo facendo un anno da protagonista, avevo segnato molti gol, mi sentivo in forma e sentivo la fiducia di tutti. Un rigore è un rigore, lo so, solo chi ha il coraggio di batterli li sbaglia e tante belle frasi fatte, ma la realtà è che dopo quel rigore, dopo quel pareggio, dopo aver perso il primato in classifica, nessuna di queste frasi fatte riusciva a consolarmi. Se avessimo perso il campionato per quel rigore? Da lì ho un brutto rapporto con i rigori, anche perché nonostante tutto il mio allenatore continuava a darmi fiducia e io continuavo ad essere la rigorista di squadra. Io non volevo, ma tutti mi dicevano che non poteva essere un rigore sbagliato a farmi rinunciare a batterli. Non volevo tirarmi indietro e qualche partita dopo mi presento nuovamente sul dischetto, ma sbaglio di nuovo. Era una partita di Coppa Italia, una partita che abbiamo vinto e nella quale ho anche segnato. Ma a fine partita non riuscivo a pensare né alla vittoria né al gol segnato, solo a quel maledetto rigore sbagliato. Sono arrivata quindi a chiedermi "Perché di un'annata bella così non posso godere delle vittorie e dei gol segnati, ma devo solo pensare a questi rigori?". Ho quindi deciso di non batterli più e quando siamo arrivate ai rigori nella finale di Coppa Italia sapevo cosa fare. Avrei potuto battere il rigore, magari segnarlo e inserire una nuova gioia nella mia annata calcistica. Ma io ero felice di quanto fatto fino a quel momento, sapevo che non sarebbe stato quel rigore a rendermi più o meno protagonista del triplete e mi fidavo delle mie compagne. Non avevo bisogno di una gioia personale, avevo bisogno di una gioia di squadra. Non l'ho battuto, abbiamo vinto e sono riuscita a godermi la vittoria in tutto e per tutto. Quel giorno (dopo più di 15 anni di questo sport) ho imparato che il calcio è anche questo: è prendersi delle responsabilità, ma è anche capire quando è il momento di non farlo e fidarsi di chi è accanto a te, per te e per la tua squadra.
La terza "foto" è invece un momento fuori dal campo. Come detto ad un certo punto dell'anno avevamo perso il primato e potevamo solo sperare in un passo falso della squadra prima in classifica, il Monsummano. Quella domenica noi avevamo vinto e per riprenderci il primo posto in classifica dovevamo sperare in un risultato negativo del Monsummano contro la Pistoiese, la terza in classifica. Non ricordo perché ma loro giocarono qualche ora dopo di noi. Ricordo che dopo aver giocato restammo tutte al bar del campo in attesa del risultato. È per me quello un momento indimenticabile. Eravamo lì tutte insieme in attesa di risultati parziali che arrivavano a pezzi e bocconi, chi parlava di gol della Pistoiese, chi di gol del Monsummano, non si capiva più niente. Ma noi eravamo insieme, unite dall'ansia e dalla speranza, pronte ad esultare insieme o a farci forza a vicenda. Quando dico che il San Miniato era bello dentro e fuori dal campo intendo questo. Quel giorno abbiamo vinto sul campo e anche fuori, perché quella partita finì con un pareggio, noi tornammo prime in classifica e senza più perdere il primato.
L'eterna paura dei rigori; ci ha scritto un libro Peter Handke (La paura del portiere prima del calcio di rigore) lo ha cantato De Gregori (Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore) e proseguendo la citazione "Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore" ma in realtà con tutto il bene che voglio al maestro ho sempre pensato che ci fosse un po' di retorica fasulla, perchè non è vero, De Gregori non giocava a calcio e si sente, perchè un rigore sbagliato ha macchiato carriere in modo indelebile e ha condizionato la memoria stessa che si ha del giocatore nel tempo (Roberto Baggio su tutti, ma non solo), e hai fatto bene a non tirarlo, credo tu abbia fatto la tua parte PRIMA di quel crudele tiro dagli undici metri.
Sulle altre due istantanee, che dirti? vorrei avere io dei ricordi calcistici simili.
Poi, dopo la bella favola, vi aspetta una stagione un poco al di sotto delle aspettative in serie C e funestata dall'arrivo del Covid, fino a un gelido giorno di luglio (ossimoro voluto) che anch'io ricordo bene per essermici trovato per puro caso, nel quale il San Miniato in pratica smette di esistere.
Ricordo la tristezza di quella sera, e voi che però, dopo un emozionante spettacolo di Costanza che parlando di cadute e redenzione forse era involontariamente adatto alla serata, avete ripreso morale, eravate tristi ma non rassegnate, la voglia di lottare in voi ragazze è sempre più forte di qualsiasi fallimento; cosa ha provato, una veterana come te, a veder finire tutto questo?
Di quella serata mi piace ricordare solo le scarpe piene di fango il giorno dopo per colpa tua e di quelle pallonate a fine serata. Ho provato tante cose quella sera, la delusione e il rammarico per non aver fatto abbastanza per salvare questa squadra. Avevamo lavorato molto durante i mesi del lockdown per pianificare il futuro, ma alla fine tutto è stato inutile. Ricordo quando Clara, che più di ogni altro ha faticato per questa squadra, mi disse “A che cosa è servito tutto quello che abbiamo fatto? Non resterà niente”. In quel momento pensavo avesse ragione, pensavo che tutti i sacrifici fatti in quegli anni finissero in una bolla di sapone. Avevamo sopportato tutto per amore di quella maglia e alla fine avevano deciso di portarcela via da un giorno all’altro.
Oggi a distanza di qualche mese penso che ci sbagliassimo. Non c’è più il San Miniato, ma non è vero che non è rimasto niente. È rimasto quello che abbiamo fatto in campo e quello che questa squadra ha rappresentato per me e per molte di noi. Ti ringrazio quindi di nuovo per avermi dato l’opportunità di parlarne e di ripensarci.
Quando a luglio mi hai chiesto di parlare di me calciatrice ti ho detto che non me la sentivo. Sapevo che in quel momento non sarei stata in grado di rendere giustizia a ciò che il San Miniato ha rappresentato per me. Avrei parlato solo di delusione, amarezza, rabbia, sacrifici buttati via, tempo perso e mancanza di rispetto. Ma il San Miniato non è quella sera di luglio, il San Miniato è questi 6 anni che ho provato a descrivere per ciò che hanno rappresentato per me.
Non torno a parlare di colpe e responsabilità, ma gli occhi delle mie compagne dopo quella riunione non li dimenticherò mai. Era finita e noi dovevamo affrontare una cena organizzata per divertirsi che invece rischiava di diventare una serata terribile. Anche in quel caso però siamo state brave e abbiamo dimostrato la nostra unione. Ci siamo divertite nonostante tutto, perché sapevamo di meritarci un'altra bella serata insieme. Come dico sempre tutto quello che è successo mi ha portato via una "casa", ma non mi porterà mai via i bei ricordi legati al San Miniato, tra i quali c'è anche quella sera.
Gli occhi della sera me li ricordo anch'io, arrivato li senza sapere niente e vedere quei volti smarriti, mi ricordo Valeria che mi spiegò la situazione e non ci volevo credere. Però nel tuo ennesimo splendido intervento hai anticipato tutto quello che avrei detto io; non è vero che non rimarrà niente, perchè il tempo, te lo dico per esperienza, lava via il brutto e tiene il bello, e nel vostro futuro ci sono cene e ritrovi con le persone con cui rimarrai sempre amica e nei quali parlerete di qaunto era grande il San Miniato, rimarranno le cose belle e le meschinità saranno smaltite dalla mente come scorie nocive. Hai fatto bene ad aspettare e sono convinto che i lettori la penseranno come me, come ti dissi a Luglio ti avrei aspettata poiché sapevo che era una questione di tempo, che alla fine avresti preferito salvare e non dimenticare, hai troppa passione per questi colori.
Una domanda di alleggerimento; so quanto sei forte perchè ti ho "affrontata" stando in porta, proprio quella sera, in una calcettata improvvista post-teatro; ricordo ancora un tuo colpo di testa a incrociare su un cross di Carlotta Bernardini che è stato MAGIA pura. Ecco, qual è il meglio del tuo repertorio, del tuo bagaglio tecnico?
Oddio è una domanda difficile questa, perché non sono molto brava a parlare di me. Il colpo di testa sicuramente è sempre stato un fondamentale che mi ha contraddistinta, nonostante la mia statura non proprio altissima. Dicono che corro tanto, che non mollo mai e che sono sempre ordinata in campo. Direi basta, anche perché ho sicuramente già esagerato!
Senti, se io creassi (si fa per scherzare) una squadra di calcio femminile una come te la prenderei subito, perché ho idea che di testa tu non sia brava solo a colpire il pallone, tu la testa la usi in tutti i frangenti, e non è così scontato. Il centrocampista d'ordine e che non molla mai alla Ancelotti ci vuole in ogni squadra, fortunato chi ti ha preso adesso...e infatti arriviamo al presente, un presente derelitto come si sa, ma che ti vede comunque fare parte del nuovo Siena risorto dalle ceneri delle due società fallite in estate; come vedi questo nuovo progetto? sei contenta che Siena città, nonostante tutto, provi ancora a investire sul calcio femminile? e quando pensi al futuro, poiché quando il virus non ci sarà più voi ci sarete ancora, cosa ti immagini per il calcio femminile toscano?
Dopo il fallimento del San Miniato avevo deciso di chiudere con il calcio a 11. Come quando raggiungi il massimo in qualcosa e pensi che qualsiasi altra cosa non sarà mai all'altezza. Ma quando sono riuscita a metabolizzare la delusione, ho capito che anche senza San Miniato avrei potuto ancora divertirmi a giocare a calcio. Mi avevano portato via una “casa”, perché dovevano portarmi via anche la passione? La vicinanza a casa è sempre stato un mio punto fermo nella scelta delle squadre e l'opportunità offerta dalla nuova Società del Siena mi sembrava un buon modo per ricominciare. Del "mio" San Miniato resta solo il nome, perché alla base del progetto societario ci sono volti nuovi e penso che sia un bel modo per poter ricominciare a costruire il calcio femminile a Siena. Il calcio femminile Toscano sta crescendo, ormai sono tante anche le squadre toscane nelle categorie maggiori e Siena è sempre riuscita a dire la sua. Credo che sia un buon modo per progettare un futuro, soprattutto in un periodo precario come questo.
Si, è un buon modo, in ogni caso è qualcosa, non è il niente che si prospettava in agosto; invito tutti coloro che leggono a dare fiducia a questo progetto, tifiamo per le ragazze domenica dopo domenica, in quanto le calciatrici sono sempre quello che più conta e hanno bisogno del nostro sostegno.
Ultima domanda; quale consiglio vuoi dare a una bambina che sta pensando di cominciare a giocare a calcio?
Alle generazioni future auguro di non dimenticare mai la passione, quella stessa passione che è sempre stata una base di partenza per me. Come ti ho detto il calcio femminile sta cambiando, si sta evolvendo e sta prendendo sempre più importanza. Vorrei però che alla base di tutto restasse quella voglia e quella passione che va oltre i soldi, le vittorie e le categorie. Per me il calcio è stato questo (anche perché non ho giocato certo in Serie A) e anche se auguro a tutte di arrivare ai massimi livelli, mi piacerebbe che nessuno dimenticasse le piccole cose, l’importanza del sacrificio e di trovare una seconda famiglia dentro lo spogliatoio.
Hai chiuso veramente in bellezza, un ultimo bellissimo goal sul finale. Non c'entra nulla aver giocato la serie A, te lo dico convinto, non è mai una questione di categoria, anzi le storie più belle le ho trovate nelle serie cosiddette minori, tutto è calcio e tu meriti lo stesso rispetto e affetto di una Bonansea, e questo sono convinto con tutto me stesso.
Mi piace pensare poi che il calcio femminile sia anche una storia di eroine solitarie, che cadono, anzi vengono fatte cadere, ma trovano sempre la forza di rialzarsi, aiutando anche altre a farlo, e di continuare a credere in un progetto, a dare tutte loro stesse ogni volta, e le cose che dici che non vanno dimenticate sono quei valori senza i quali il calcio femminile non sarebbe nemmeno arrivato ad averla, una A; queste "serie minori" sono l'humus, il substrato su cui una Fiorentina o una Juventus hanno potuto piantare i propri semi, proprio quella elite che si è "svegliata" scoprendo il femminile ma al tempo stesso non sta facendo niente per venire incontro a un calcio dilettantistico mai così in difficoltà; ma alla fine di tutto ci sarete voi, che con la vostra passione e la voglia di esprimerla darete un futuro al calcio femminile, riuscirete dopo il virus a creare altri sogni sull'erba; non ho paura per il futuro del movimento perché ci sono persone come te, Francesca, forse sei davvero un supereroe, tu e le tue compagne, con la vostra forza, la vostra tenacia e il vostro non arrendersi mai.
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