lunedì 30 novembre 2020

UN ANNO DI BLOG (NON E' TEMPO PER NOI....)


Era un giorno grigio, quando ho deciso di creare Il viola e il rosa; un pomeriggio triste, brumoso, nel pieno di un campionato che nessuno immaginava non sarebbe nemmeno terminato, coi suoi verdetti discutibili e le sue storie sospese. Il mio orizzonte calcistico, all'epoca, era limitato a Fiorentina e un pizzico di Florentia ed Empoli, ma era solo l'inizio di una passione travolgente, che mi ha portato a conoscere realtà, calciatrici e storie recenti ma già un poco vecchie, a conoscere persone su persone, con qualcuna già mi sono perso e con altre ho formato solide amicizie, come per tutti i casi della vita.




Credo immodestamente che questo blog sia una delle cose più belle che abbia mai creato, perchè non c'era e non c'è una cosa simile in rete (E nemmeno so se ci sarà, tiè) e soprattutto perchè quello che ho fatto e ho raggiunto è stato attraverso le persone, prima creando un clima di stima reciproca e poi collaborando; ci sono stati presidenti e Mister che hanno capito il mio lavoro, ci sono state intere squadre, come il mio San Giovanni e il Badesse, che hanno aderito quasi al completo al mio progetto, e altre squadre che non mi hanno mai negato il loro appoggio, un rapporto molto diretto, stretta di mano e via, senza quei vincoli che rendono molto difficile collaborare con le squadre di serie A, ma per colpa dei protocolli vigenti, non certo dei singoli addetti stampa tenuti a seguirli. Ci sono stati grandi uomini di calcio (e scrittori a loro volta) come Sergio Innocenti che tanto ha fatto per me e che voglio ringraziare ancora una volta per tutto. E ci sono state ovviamente le calciatrici,  che mi hanno aiutato non solo accettando di raccontare le loro storie ma anche, in qualche caso, aiutandomi a trovarne altre, e che comunque hanno creduto e continuano a credere in me, e mi aiutano a trovare ancora bellissimi, a volte anche nella loro amarezza, racconti da salvare in un mondo, quello del calcio femminile, quasi del tutto senza storia scritta ma tramandato ancora oralmente, e quello che voglio è salvare, come una specie di Erodoto del movimento, brandelli e frammenti di storie prima che sbiadiscano anche nel ricordo di chi le ha vissute, e prima che venga meno anche la voglia di raccontarle.


Immagini dalla prima partita della scorsa stagione, il derby tra Florentia e Fiorentina, prima partita ufficiale delle neroverdi a San Gimignano, un evento storico.


Speriamo di poterci riuscire e di continuare questo progetto ancora a lungo, ma attualmente non posso garantirvelo. Questo perchè siamo in un momento davvero triste nel quale, non ve lo nascondo, non riesco più a coinvolgere calciatrici, in quanto come mi hanno fatto notare in diverse in questo momento parlare di calcio a chi lo gioca fa male, nei mesi scorsi vi era un cauto ottimismo, la seppur pallida consapevolezza che questa stagione bene o male si sarebbe disputata a tutti i livelli, invece quasi tutte le realtà che cerco di raccontare sono ferme, e questo secondo stop è stato accolto con tristezza, scoramento, paura. Non si sa quando si comincerà o che destino avrà questa stagione, forse per categorie come eccellenza e promozione nemmeno inizierà, si perderà tutto un anno, o comunque sarà un campionato mutilato e falsato, e non poter vivere un'avventura nella sua interezza è un qualcosa che può fare male nel profondo. Dal canto mio posso solo ribadire che sono sempre qua per nuove storie e nuove avventure, ma ho deciso di non contattare più nessuna calciatrice di mia iniziativa, perchè capisco il momento e in questo frangente sarei più che altro fastidioso, mi fermo in attesa di momenti migliori e sempre a disposizione di chi mi vorrà cercare.



Un anno fa esatto per Sangi- Milan, con la sciarpa appena acquistata



Al Bozzi con Ele per Fiorentina - Sassuolo dello scorso 15 febbraio, a oggi l'ultima gara a porte aperte per la viola.




Purtroppo so che questi momenti di felicità che ci travolgeranno sono ancora lontani. Stare lontani oggi per abbracciarsi...non domani, tra qualche tempo. 

Conosco ragazze, amiche che forse lo resteranno per una vita o comunque resteranno ormai per una vita nei miei ricordi, che hanno contratto il covid e sono state male, amici che sono finiti in ospedale. Lo ribadisco, non ne vale la pena per una partita di calcio o di un qualsiasi altro sport di contatto, non vale la pena giocare e poi tornare a casa e avere paura di qualsiasi sintomo ti si presenti nei giorni successivi o se si presenti a qualche tua compagna, non vale la pena giocare senza voglia, senza gioia, senza riuscire a tornare ragazzi e ragazze. 

Semplicemente, per dirla alla Ligabue, non è tempo per noi. E non è che non lo sarà mai, lo sarà presto, quello che chiedo alle calciatrici e agli addetti/addette ai lavori che mi leggono è; cercate di resistere. Non vi buttate giù, non vi lasciate andare, non prendete decisioni ingiuste nei vostri confronti come smettere anticipatamente a causa del covid, che non abbiate voglia di raccontare il vostro passato è comprensibile ma non smettete di lavorare sul vostro futuro, non importa la categoria in cui siete, contate voi, la felicità che vi regala giocare un pallone e la felicità che date a noi tifosi che abbiamo il piacere di seguirvi. Un anno fa stavo girando la toscana in cerca di partite, ogni weekend ne trovavo sempre qualcuna, panini freddi mangiati al freddo nelle tribune guardando un riscaldamento o tra un tempo e l'altro, sole invernale basso che bruciava gli occhi e la fronte, oppure aria gelida umida e pellicolare che ti costringeva a scaldarti sugli spalti come le calciatrici a bordo campo; ecco, ridatemi tutto questo disagio colmo di felicità, perchè ho bisogno di voi. 


giovedì 26 novembre 2020

IN MORTE DI DIEGO ARMANDO MARADONA.

 

Ieri il calcio ha perso un altro dei suoi Dei, forse il supremo, lo Zeus. 

Il calcio non può essere una religione monoteista, in quanto negli ultimi anni abbiamo perso e pianto tra gli altri Sivori, Best, Facchetti, Di Stefano, Puskas, Cruijff. Pelè non sta bene, Gerd Muller e Bobby Charlton soffrono di gravi forme di Alzheimer, e ricordare El Diego come l'unico dio del calcio sarebbe fare un torto a tutti loro.


Maradona e la sua gente.

Maradona poi è storia recente del calcio, lo hanno visto giocare persone ancora giovani, noi over 35 abbiamo memoria del Diego in campo e quelli più giovani lo hanno scoperto grazie a Youtube, documentari, biopic, Sorrentino che gli dedica un Oscar appena vinto, per i mille eccessi veri e romanzati di una vita che è stata leggenda anche nella sregolatezza, in ogni caso più alta degli starnazzi dei moralisti del cazzo, i poveri travet e casalinghe di Voghera che ieri hanno impestato i social parlando solo del Maradona peggiore, gente che non ha mai toccato palla e si permette di dire la sua su un personaggio, non semplicemente una persona, che oltre a essere stato il fuoriclasse dei fuoriclasse e senza alcun erede (Con tutto il rispetto di Messi che, con il suo calcio perfetto, sinfonico, geometrico e ordinato ne è in realtà la perfetta negazione) ha significato per Napoli e l'Argentina, due terre estreme nelle loro grandezze, nelle loro miserie e nelle loro mitologie, il riscatto sociale, la periferia d'Italia e del mondo che ruggisce grazie a un solo condottiero, l'ultimo Masaniello che ha usato il calcio per portare giustizia agli ultimi.

Ho un vago ricordo del Maradona napoletano, ma ho un ricordo vivo del razzismo che albergava anche nelle provincia pistoiese verso i meridionali, era lo stesso di adesso verso i migranti, qualcuno da odiare a prescindere si trova sempre, anche in casa, basta volerlo. Mi ricordo che guardando il Novantesimo minuto, quello bello con Paolo Valenti,  sentivo di striscioni con scritto ai napoletani "Benvenuti in Italia" e non capivo, beato me. In ogni caso quel Napoli ha vinto non uno, ma due scudetti, battendo la Juve di Trapattoni, l'Inter ancora di Trapattoni e dei tedeschi, il Milan Berlusconiano di Sacchi, dei tre olandesi e degli altri 8 fantastici italiani, e con una squadra che senza di lui sarebbe stata al massimo da quinto posto.

Ha vinto un mondiale da solo, con due goal a modo loro storici, agli inglesi che per due scogli in mezzo al mare avevano ammazzato centinaia di ragazzi argentini, signora Thatcher la mano de dios aveva il medio alzato for you. Bene così. In quel mondiale la Francia e la Germania erano squadre più forti e complete di quell'Argentina normale, ma l'Argentina aveva Maradona. 

Mai un pallone d'oro, mai, all'epoca era solo per giocatori europei e figuriamoci se i francesi avrebbero fatto eccezione, hanno aperto a tutto il mondo proprio quando Diego non avrebbe potuto vincerlo più.

Se ne potrebbe dire tante di Maradona, di belle e meno belle, ma quello che ha fatto di male non lo ha fatto a noi, chi ha distrutto il calcio sono stati i Balotelli, e soprattutto i procuratori che hanno trasformato dei ragazzetti con limitato talento in arrogantelli senza valori  per arricchirsi a loro volta sulla loro pelle, hanno di fatto rovinato il calcio maschile e tra poco lo faranno col femminile, sono quindi questi che dovete biasimare, non Maradona. Diego era amato dai compagni e anche dagli avversari, campioni di tutte le epoche gli hanno reso omaggio, era un Caravaggio, uno Strindberg, un Charlie Parker, forse anche Cagliostro e Casanova. Era una persona sbagliata per il comune senso del pudore e alla quale nessuno di noi, in fondo, potrebbe ne vorrebbe assomigliare, ma che non avrebbe potuto mai essere altro, ha vissuto una vita coerente con il suo essere, a suo modo una vita piena. A noi rimangono le sue perle, i suoi frammenti, scolpiti nell'etere per sempre.


Bella pagina dalla Gazzetta di oggi con i saluti di tanti altri protagonisti.


E dov'è oggi un Maradona? l'ultimo che ha giocato col sorriso e fuori dagli schemi è stato Ronaldinho, dopo di lui la tenebra, oggi ci vogliono i supereroi con fisici da centometristi, se rinasce un altro Diego viene preso, schiaffato in scuole calcio, palestrato, conteso tra i procuratori, mandato in squadroni a 16 anni e poi girato in prestito dopo due mesi e mezza partita sbagliata, farebbero insomma di tutto per inquadrarlo e soffocarne la fantasia, e ci riuscirebbero perchè oggi è l'unico modo per sfondare, il calcio ha perso la voglia di scoprire e di stupire, proprio come la sta perdendo il mondo, i calcio di oggi è quello di partite senza genio come l'orrendo Inter - Real Madrid di ieri sera, due squadre che se tornano giù i già citati Facchetti e Di Stefano li prendono tutti a calci nel culo.

Ma ieri, tra le tante cose che mi hanno commosso,  stato il grande numero di calciatrici che lo hanno ricordato, in pratica tutte le ragazze che conosco hanno lasciato un pensiero, anche persone che in loro hanno una goccia, una stilla dell'ambrosia della coppa di Zeus, come Giulia Mastalli e Priscilla del Prete. Qualcuna di loro ha scritto che guardando lui e le sue magie ha cominciato a giocare. Poichè per una calciatrice, dalle Alpi alla Sicilia, anche solo giocare a calcio è riscatto sociale, quel riscatto che lui ha sparso per il mondo. Per quello hanno omaggiato El Diego, perchè lo hanno compreso meglio di tutti noi, che in fondo lo ammiriamo, ci commuoviamo, ma Maradona fino in fondo può capirlo solo un argentino, un napoletano...e una calciatrice.

Ad10s, Diego, e grazie.


lunedì 16 novembre 2020

FINALMENTE PONTEDERA; E TUTTO VA COME DEVE ANDARE....

 Questa prima domenica di zona rossa almeno una gioia l'ha data. Il Sabato da spettatore televisivo forzato della serie A femminile (se penso che un anno fa in questo periodo riuscivo a vedere anche 3 partite in un weekend mi viene il magone, ma d'altra parte è così per tutte/i noi) è stato altalenante, in quanto ha regalato la gioia della vittoria della Fiorentina dopo un'era geologica (anche se della spumeggiante formazione dello scorso anno resta solo un pallido ricordo) il pari dell' Empoli con una grande  Cecilia Prugna e ahimè la sconfitta di una magnifica Florentia contro la Juve causa rigore diciamo "fantasioso", ma l'inadeguatezza dei direttori di gara nel femminile non la scopriamo oggi.

Domenica ho tifato Napoli aspettando Alessandra Nencioni e il finora deludente mister Marino non l'ha schierata ed è finita con un tristanzuolo 0-0, e mi restava solo la serie B con ben 5 rinvii su 7 ma con le due squadre che tifo, il Cesena e soprattutto il Pontedera di Ulivieri.  Il Cesena di Tatiana Georgiou e Alice Pignagnoli continua a far punti e giocare bene (Anche se la rivelazione è il Pomigliano di Giulia Ferrandi ed Emanuela Schioppo, quest'ultima mandata via in modo discutibile da Napoli), il Pontedera invece aveva bisogno di una vittoria, dopo un inizio di stagione travagliatissimo con lo 0-10 subito dalla Lazio in quanto dopo l'espulsione di Sacchi dovette schierare in porta una giocatrice di movimento, e le laziali a esultare dopo ogni goal  (e non mi dispiace che le biancocelesti siano finora la delusione del campionato, nemmeno un po'...il Karma) ha saputo rialzarsi, perchè questo Pontedera, anche se mi mangio le mani fino all'osso che non abbia più Valentina Cei in rosa, è una squadra forte che può dire la sua e salvarsi, ma soprattutto può SCHIERARE DI NUOVO TRA LE SUE FILA LINDA GAVAGNI.


E va bene così, senza parole...(fonte; pagina facebook Pontedera femminile)


Ve la ricordate la sua storia? potete trovarla su questo blog nell'articolo dello scorso 12 settembre, in pratica fu squalificata sei mesi e multata per aver fatto uno stage coi bambini di un'altra formazione oltre a quella in cui è tesserata, una vicenda talmente assurda e Kafkiana che per una volta lo sport ha fatto ammenda e ha tolto la squalifica, dimostrando che le leggi sbagliate vanno riviste. Si, tutto bello, ma intanto due mesi di campionato e le prime 6 partite Linda se li è persi, e per il Pontedera ha subito un danno enorme, e tra averla e non averla fa una bella differenza, perché signori miei a Linda Gavagni sono bastati 15 minuti, a Bergamo contro l'Orobica, per buttarla dentro.

Ma andiamo con Ordine. Partita come detto contro la tormentata formazione lombarda, squadra materasso della scorsa serie A che anche in B non sta certo facendo sfracelli, dimostrando tutta la fragilità di un progetto che investirebbe anche e sulla carta è molto serio, ma è quasi nullo a livello tattico. Orobica - Pontedera era un poco una sfida da ultima spiaggia, in una serie B a girone unico difficilissima che quest'anno prevede ben 4 retrocessioni; orobica quart'ultima a 5 punti, Pontedera ultimo a 1.

E' l'Orobica a partire meglio e ad andare in vantaggio al minuto 12 con Giorgia de Vecchis, talentuosa centrocampista ex Empoli della quale ho un buon ricordo;  ma appena tre minuti dopo è proprio la Gavagni a trovare il pareggio, un goal che purtroppo non ho visto e non posso descrivere (così come tutta la partita purtroppo), ma immagino quale gioia, quale liberazione deve essere stata questa rete. 

Bentornata Linda, ti aspettavo con gioia, io e tutti gli appassionati.


Meraviglioso selfie post partita (fonte; calciofemminileitaliano.it)

Che poi la giornata perfetta si è concretizzata nel secondo tempo, quando un'altra grande giocatrice di questa squadra, Natasha Carrozzo, lei reduce da un lungo infortunio, ha segnato la rete del 2-1 al minuto 49 che sarebbe stata poi quella della vittoria; la coppia di goleador è ricomposta, tutto inizia a andare come deve per le Granatine, il duo delle meraviglie c'è, c'è una rosa di qualità e competitiva in ogni reparto, c'è la grande Priscilla del Prete che fornisce loro palloni d'oro, c'è l'Immensa Sandy Iannella a dare esperienza e qualità, c'è un mister eccezionale; va tutto bene ragazze, il sentiero si sta spianando, avete lasciato l'ultimo posto al Perugia, la salvezza è a un solo punto, dove orbitano Chievo Mozzecane e la stessa Orobica. E' una serie B complicata ma dalla quale si può risalire, il Pontedera al completo se prende fiducia si può assicurare la salvezza, e con Gavagni e Carrozzo recuperate si può cominciare a sognare forte. 

Viva il Pontedera. Tutto va, come deve andare....(cit. Max Pezzali)


sabato 14 novembre 2020

ANNA MARIA MANCUSO, UNA GUARDIANA A PROTEZIONE DEL BADESSE.


Care lettrici e cari lettori,

per il nostro consueto sabato Badesse non vi presento, come già accaduto per il preparatore atletico Alessandro Olivola, una mia canonica intervista ma un articolo, dove vi parlo di Anna Maria Mancuso, ovvero una delle calciatrici più esperte nel panorama toscano, una protagonista vera da quest'anno in biancazzurro.

Dire Anna Maria Mancuso significa semplicemente dire storia, sia del futsal che del calcio a 11. Conosciutissima nell'ambiente  e molto stimata, Per il Badesse Calcio Anna Maria è un doppio colpo, anzi triplo, perché servirà sul campo, nello spogliatoio e al progetto.




La scheda "Badessiana" realizzata per Anna Maria da Marta Ferraro.

La storia di Anna Maria parte da lontano, sia nel tempo (ma è giovanissima eh, ha la mia età, una ragazzina..) che relativamente anche nello spazio, poiché Campoleone, località tra Roma e Latina dove Anna Maria è cresciuta, per un blog che si occupa di calcio toscano è già una località remota, come la Puglia di Marta Ferraro o il Veneto di Linda di Gasparro, ed è sempre bello uscire dai confini e raccontare altre realtà. 

Campoleone è stato il background che ha visto formare il talento di Anna Maria, ha ovviamente giocato coi ragazzi fino a quando il regolamento lo ha consentito, poi dopo lo stop ha preferito smettere momentaneamente con il calcio e dedicarsi all'atletica e poi al karate, ma il richiamo del pallone per lei era un chiodo fisso, e un giorno, a 13 anni, una ragazza più grande di lei la vide a un torneo e le propose di andare a giocare a calcio a 5, e Anna Maria accettò senza esitare.

Giocò quindi per due anni (anche se con molta panchina) in Serie A con la Go.Ca  e poi in prestito al Real Torvaglianica in serie B, dove giocava e si divertiva un sacco, prendendosi anche qualche rivincita personale, fino a ricevere anche una chiamata per la rappresentativa della regione Lazio.

Poi per lavoro si trasferì a Siena e per diverso tempo le è stato impossibile dedicarsi al calcio; cercò, provando ad allenarsi con Siena, di restare connessa all'ambiente,  ma i molteplici impegni lavorativi la portavano spesso lontano, e dovette rinunciare quasi subito.

Nel 2007  riuscì però a ricominciare a giocare con il Cus Siena, una squadra di calcio a 5 UISP, niente a che vedere con i fasti delle esperienze precedenti ma un buon modo per riprendere contatto con la realtà del futsal.

Nel 2011 la svolta verso il calcio a 11; Anna Maria infatti decide di giocare con il San Miniato Siena che vantava già tra le sue fila Clara Meattini, Ilaria Ciofini, Alice Carniani, Laura Gurgugli e tante altre bandiere, e vi rimane per 4 anni, fino a che problemi fisici la contrinsero a interrompere l'esperienza, ma riuscendo a rimanere nell'ambiente grazie al suo ruolo di giocatrice/ allenatrice dell'Alberino, squadra di calcio a 5.

Al San Miniato...Ma chi stava a tirà, Roberto Carlos? comunque Anna Maria e Ilaria Ciofini neanche una piega.

Sempre al San Miniato.

L'intenso lavoro la costringe a interrompere il percorso da coach, preferendo tornare a giocare, sempre a 5 ma con il Castellina.

Nella mitica corazzata Alberino.

Nella stagione 2019/2020 si profila per lei un'altra importante esperienza, quella di secondo allenatore della Robur assieme a Valentina Fambrini, icona del calcio femminile senese con cui Anna Maria vive, fino all'interruzione causa pandemia, una bella esperienza calcistica per la quale ci tiene a sottolineare che le sarà sempre molto grata.

Quest'estate decide infine di accettare la proposta del Badesse, portando tutto il suo enorme bagaglio di esperienza e talento al servizio di una causa che merita il suo rimettersi in gioco, per tante sue vecchie compagne è stata un'emozione vera saperla di nuovo sui campi verdi, e posso dire senza alcuna piaggeria che per poche persone ho avvertito altrettanto trasporto nell'ambiente. 

Per cui, Anna Maria, grazie infinite per avermi raccontato la tua storia, lo considero un grande onore per il blog, le ragazze hanno bisogno di te e so già che sarai un grande punto di riferimento per loro, quindi davvero tantissimi auguri per questa ennesima grande avventura.




domenica 8 novembre 2020

FRANCESCA SOLAZZO, LANTERNA VERDE.

 


Le squadre storiche del calcio femminile hanno più di una bandiera. Se si parla del San Miniato Siena, poi, pochi anni di vita ma con tanto amore, se ne trovano quante ne volete. Clara Meattini, Ilaria Gurgugli, Valeria Mazzola sono solo alcune. Ci sono persone che sono maturate, o addirittura nate e vissute  calcisticamente, con questo verde sul cuore, ma credo che nessuna incarni il San Miniato tanto quanto Francesca Solazzo, semplicemente perché ne ha condiviso le sorti dai primissimi anni di esistenza fino al fallimento di questa estate, è stata innamorata di questa maglia quando era in difficoltà  e nei fasti del triplete, la vetta che però fu anche il preludio alla fine di tutto, come se non potesse mai più esserci un anno altrettanto bello; e ora che per fortuna, dai fallimenti di due società,  un nuovo progetto calcistico sta nascendo a Siena città Francesca è stata chiamata a farne parte e per lei, centrocampista importante, un faro, anzi una lanterna, di quelli che impostano il gioco e dettano i tempi, che a 28 anni sta entrando nella maturità calcistica perfetta, inizierà un'ennesima avventura calcistica all'ombra della torre.

Francesca Solazzo.

Avere Francesca sul blog è fantastico per me, non nego che la "corteggiavo" da questa estate, dalla sera in cui ci capitò di fare due tiri a pallone, ma quando prendi una botta emotiva come hanno preso queste ragazze è chiaro che per qualche tempo devi riordinare le idee; ma niente e nessuno toglierà a questi fiori d'acciaio la voglia e la passione, quindi perché esiste il Viola e il rosa? soprattutto per far conoscere le storie come quelle di Francesca Solazzo, grazie a tutte coloro che hanno la voglia e la forza di raccontarmele.

Che poi questa intervista è anche un documento sul calcio  senese di un passato recentissimo ma che è già sprofondato, in quanto l'epopea del primo San Miniato si è comunque conclusa, con la sua storia dolce e amara, che è già stata raccontata su questo blog ma è sempre bello riascoltare, specialmente da una voce così sensibile.

E ora, come sempre, vi lascio con Francesca.


Ciao Francesca, benvenuta su "Il viola e il rosa" vuoi innanzitutto presentarti ai lettori?


Ciao Omar, grazie per questa opportunità e per la pazienza che hai avuto con me. Mi chiamo Francesca Solazzo, ho 28 anni e gioco a calcio da ormai 17 anni.


Macché pazienza, anzi avrei compreso se ti fosse occorso ancora del tempo per chiamare i ricordi col loro nome.

Parlaci di Francesca bambina; chi o cosa ti ha trasmesso la passione per il calcio?


Non so in realtà quando sia nata la mia passione per il calcio, ho sempre pensato di esserci nata. All’inizio però per me il calcio erano i passaggi in spiaggia con mio zio, le partitelle sotto casa con gli amici o durante l’intervallo a scuola.

È stato mio nonno a farmi avvicinare al vero calcio giocato. Lui sapeva che avrei voluto farlo proprio come sport e sapeva che in fondo neanche io pensavo fosse possibile. Avevo 11 anni, di calcio femminile non avevo neanche mai sentito parlare e l’unica possibilità era una squadra maschile, ma mi sembrava solo un sogno. Lui invece mi disse che avrei potuto farlo, mi accompagnò a parlare con una scuola calcio (il Siena Nord) e per 3 anni mi scarrozzò avanti e indietro ad ogni singolo allenamento e partita. 


Complimenti a tuo nonno, veramente, è bello e importante che una persona matura abbia creduto in una ragazzina che voleva giocare a calcio, non è affatto scontato.

Credo che come tante altre calciatrici avrai iniziato a giocare in squadre maschili; come sono state le prime esperienze? e che rapporto hai avuto coi compagnucci, ti hanno accettata subito o hai dovuto farti rispettare?

Ricordo con piacere i primi anni di calcio in una squadra maschile. Ero abituata a giocare con i maschi, non conoscevo bambine con la mia stessa passione e per me era del tutto normale giocare insieme ai maschi. Ho giocato titolare in tutti e 3 i campionati, anche se c’è da dire che non eravamo una squadra molto forte e che la presenza di una femmina in squadra ci faceva guadagnare un punto per ogni partita, a prescindere dal risultato.

Poi a 14 anni dopo un torneino con la scuola qualcuno mi notò e per la prima volta sentii parlare del calcio femminile a Siena.

Con Ilaria Gurgugli.


Infatti, arriviamo ai tuoi 14 anni e alla primavera del Siena. Com'è stato ritrovarsi in una squadra tutta al femminile? ti è occorso tempo per adattarti alla nuova realtà? e quali sono le compagne di viaggio che hai incontrato già in quel frangente?


Come detto per me era una cosa un po’ strana giocare in una squadra femminile, perché non mi era mai capitato di incontrare altre ragazze amanti di questo sport. Gli anni della primavera del Siena li ricordo sempre con tanto affetto, sia per il calcio giocato che per le mie compagne. Qui ho conosciuto le mie amiche più grandi, il mio fedele “capannello”: Clara Meattini, il mio Cap in campo e nella vita, Ilaria Gurgugli e Alice Carniani. Con loro ho condiviso gli ultimi 14 anni della mia vita, in campo e anche fuori dal campo, anno dopo anno, squadra dopo squadra. 


"Il mio cap in campo e nella vita"  Clara Meattini.


Ed è bello quando grazie allo sport si formano le amicizie di una vita, niente cementa un rapporto più che lottare per uno stesso obiettivo.

So che giochi come centrocampista centrale; questo ruolo è stato tuo fin da subito o prima ne hai provati altri? e grazie a chi hai capito che era il ruolo più congeniale per te?



Se devo essere sincera ho sempre giocato come centrocampista centrale. Non posso quindi parlare di un allenatore che mi abbia scoperta, ma posso certamente parlare di quello che più di ogni altro ha creduto in me, Claudio Pacciani. 

Claudio è stato il mio allenatore negli ultimi 3 anni, che sono poi gli anni della mia migliore resa calcistica. Credo che un allenatore non sia importante solo per tattiche o schemi, ma anche per la fiducia che riesce a trasmetterti. Un giocatore che gioca senza sentirsi sicuro riesce a rendere al 20%, uno che lo fa sentendo la fiducia dell’allenatore rende al 200%.

Claudio è stato importante perché grazie a lui e alla sua fiducia sono riuscita a rendere molto di più di quanto pensassi di fare. Ha sempre creduto in me (forse un po’ troppo) e mi ha regalato una sicurezza calcistica che non ero mai riuscita a provare.


Conosco Claudio per averlo intervistato e mi è sembrata una persona competente e appassionata, ottimo direttore d'orchestra di una squadra strepitosa, e sono contento di quello che mi dici di lui, soprattutto per la sicurezza che ti ha saputo trasmettere e che spero non ti tolga mai più nessuno.

Dopo 4 anni nelle giovanili senesi passi alla mitica Stella Azzurra di Arezzo; come è stata per te la prima esperienza in una prima squadra? 


L’anno della Stella Azzurra rappresenta per me il passaggio da una primavera ad una prima squadra. È stato per me un anno sicuramente importante, soprattutto perché lì ho conosciuto tante persone che poi ho ritrovato a San Miniato negli anni successivi. Li ho imparato come funzionano le cose in una prima squadra, non ero più nella mia primavera, ero in una vera realtà calcistica.


Dopo l'esperienza Aretina, come tante ragazze che devono portare avanti i loro progetti, smetti a malincuore di giocare per 3 anni per frequentare l'università, ma nel 2014 ricominci nel club al quale sei legata anche nell'immaginario collettivo dei tuoi tifosi, ovviamente parlo del San Miniato. Ecco, puoi raccontarci l'inizio della tua grande storia d'amore con questi colori?


Come hai detto sono arrivata a San Miniato dopo 3 anni di stop. Dico sempre di aver smesso di giocare per colpa dell'Università, ma la verità è che avevo perso un po' lo stimolo di fare un sacrificio così grande per un qualcosa che non mi appassionava più come prima. Arrivo quindi a San Miniato con la necessità di ritrovare quello stimolo e quella passione che ai nostri livelli sono il vero e proprio motore di questo sport. Devo dire che fin da subito a San Miniato ho ritrovato ciò che del calcio mi mancava di più. 

San Miniato era all'epoca ai primi anni di vita. Una squadra nata per divertirsi, con zero soldi (pensa che i primi anni eravamo noi giocatrici a pagare il pullman per le trasferte), una di quelle squadre che sopravvive solo grazie alla passione, sia delle giocatrici che dello staff. Mi sono sentita fin dal primo giorno a casa, perché era proprio quel tipo di calcio che cercavo. Un calcio che riusciva a divertirmi ma senza portarmi via troppo tempo. Insomma, il classico hobby. 

L'anno in cui sono arrivata a San Miniato la squadra era appena stata ripescata dalla Promozione in Eccellenza. Un ripescaggio che ci aveva colte un po' impreparate. L'anno calcistico sotto il punto di vista del campionato è stato decisamente faticoso. Abbiamo perso la maggior parte delle partite, anche con punteggi molto pesanti. Siamo arrivate a giocarci la retrocessione nell'ultima partita di campionato, uscendone sconfitte. 

Di quest'annata difficile ricordo però l'unione della squadra. Per finire un campionato in cui riesci a fare 10 punti per miracolo hai bisogno di uno spogliatoio molto forte ed unito, un gruppo di ragazze che nonostante le difficoltà e le delusioni riesce sempre a trovare un motivo per allenarsi, per pagarsi le trasferte e tornare a casa quasi sempre sconfitte. Ecco, per me questo è stato il primo vero amore sul campo da calcio. Perdevamo sempre, ma io ero felice di giocare lì e sapevo che il tempo ci avrebbe dato ragione. In effetti poi è andata così.



"Una squadra che va avanti solo grazie alla passione" Ecco, si capisce come tu abbia vissuto l'essenza più pura del calcio, quello più picaresco e avventuroso, quello povero ma non miserabile, quello con pochi mezzi ma non amatoriale, quello che più resta nel cuore di chi lo pratica e anche di chi lo segue, che detto tra noi i titoli passano, sono le avventure che restano, e voi avete vissuto anni di avventure calcistiche forse irripetibili, voi e chi ha avuto la fortuna di essere li, di seguire ogni vostra impresa. Ho seguito squadre che perdevano spesso, ma ora del risultato non me ne ricordo più, mi ricordo i saluti, l'atmosfera carica prima della partita, la consapevolezza di essere Davide ma senza la paura di affrontare Golia,  è quello che secondo me rimane nel cuore.

In ogni caso un San Miniato che con gli anni diventava sempre più forte e convincente, mettendo a tacere le malelingue dall'altra sponda, avevate pure un coro goliardico "E ora come allora, al San Miniato mai" riferito a coloro che vi snobbavano nella prima ora..ecco, come è evoluto il San Miniato fino all'anno del triplete?


Dopo l'annata disastrosa in Eccellenza ripartiamo dalla Promozione. Nel frattempo il Siena femminile fallisce e la squadra comincia piano piano a rinforzarsi. Questo è anche l'anno della nascita del Florentia, una squadra che fin dal primo anno era fuori categoria. Finiamo il campionato al secondo posto, proprio dietro al Florentia, ma il ripescaggio ci premia nuovamente e approdiamo in Eccellenza. Da questo momento in poi è sempre Eccellenza, con la squadra che si rinforza anno dopo anno, ma senza mai perdere quell'ossatura di base che dalla Promozione è arrivata poi in Serie C. A San Miniato ho sempre avuto allenatori che hanno creduto in me, da Andrea a Claudio e anno dopo anno sono riuscita a crescere calcisticamente proprio come la mia squadra.



Intermezzo; ti è capitato di segnare qualche goal? quali sono le reti, in tutta la tua carriera, che ricordi con più piacere, quelle a cui ripensi nei momenti di malinconia?

Sicuramente la tripletta contro il Filecchio nell'annata 2018-2019. La mia prima (e ultima) tripletta che incoronò il San Miniato campione d'Inverno.


Complimenti, spero ti sia portata il pallone a casa!!

Arriviamo ora all'anno magico, all'anno storico del San Miniato, il 2018-2019, con il mitico Triplete; vittoria del campionato di eccellenza, vittoria della coppa regionale e della coppa Italia di categoria. Raccontami tutto quello che vuoi, il blog è tuo.

Nella partita scudetto contro il Montevarchi.

Lo sai bene, dell'anno del Triplete io potrei parlare all'infinito. Di quell'anno potrei descriverti nel dettaglio ogni partita, ogni gol subito e ogni gol fatto. Eravamo una squadra forte, senza soldi ma forte. Credo che la nostra arma in più sia stata proprio questa. Il calcio femminile attorno a noi era cresciuto, le giocatrici per venire da noi chiedevano gli stessi soldi che le altre Società offrivano loro e da noi di soldi ce n'erano pochi. Certo, non dovevamo pagarci più le trasferte e qualcosa in fondo al mese entrava, ma non potevamo competere con le altre Società che stavano crescendo. Ad inizio anno la domanda di tutti era la stessa: "Sono forti, ma riusciranno a finire l'annata con una Società così poco organizzata?'. Non solo ci siamo riuscite, ma lo abbiamo fatto scrivendo anche una pagina della storia del calcio femminile di Siena.

Il San Miniato era questo: le docce erano fredde, i palloni vecchi, i pulmini (quando c'erano) erano tutti rotti e se si trovava il campo libero per allenarsi era un evento. Ma noi eravamo forti, vincevamo e ci divertivamo e tutto il resto non contava. 

Ciò che ho amato di più del San Miniato è stato anche ciò che ho odiato di più quando tutto è finito. Ho amato il San Miniato per la sua semplicità, per la mancanza di soldi che ci rendeva tutte complici di una stessa passione (ma chi ce lo fa fare?), per la mancanza di organizzazione che rendeva tutto così genuino e naturale. Insomma, chi era a San Miniato era lì perché ci voleva stare, non per i soldi, non per la carriera calcistica, perché al di fuori dello spogliatoio di aspetti positivi ce ne erano davvero pochi. Tutte queste cose che ho amato così tanto sono state anche ciò che hanno portato alla fine di questa bellissima realtà. Il San Miniato era nato ed era cresciuto grazie a tante persone che per anni hanno fatto sacrifici per questa squadra. Giocatrici, allenatori, accompagnatori e anche tifosi. Quando alcune di queste persone hanno "mollato" ed è rimasta solo la Società (che in realtà dovrebbe essere il vero motore di una squadra), nessuno si è più sbattuto per noi, portando al triste finale che tutti conoscete.

Ma tornando al triplete... Quando l'anno è iniziato ricordo che guardai i nomi delle componenti della squadra e pensai "Cavolo, quest'anno siamo forti!". Ma se a settembre mi avessero parlato di vittoria del Campionato, vittoria della Coppa Toscana e vittoria della Coppa Italia di categoria avrei fatto una grossa risata. Anche perché noi eravamo "solo il San Miniato", proprio quello del coro “al San Miniato mai”. Invece quell'anno abbiamo iniziato a vincere e non abbiamo più smesso. 

Di quell'anno non ricordo solo le vittorie in campo, ma anche la grandissima unione dello spogliatoio. Stavamo bene insieme dentro il rettangolo di gioco e fuori e tra allenamenti, partite, cene e aperitivi quell'anno sono stata più a San Miniato che a casa. 


Un quadro; fantastico abbraccio con Costanza Gangi dopo la rete di quest'ultima, la prima di tre, poi segnarono Mascilli e Bruci.

Vabbè, intervento da incorniciare, hai riassunto tutta l'essenza di un movimento in queste righe, da far studiare alle esordienti, veramente...se sapessi mai di un libro in lavorazione che tracci un viaggio sentimentale nel calcio femminile invierei questo pezzo alla casa editrice (o potrei un giorno scriverlo io...ma si, sogniamo forte, ho imparato da voi ragazze).

Sempre riferito all'anno del triplete, rispettando il numero del 3; dimmi tre tue "foto" interiori, tre istantanee che hai nella mente, tre ricordi indelebili.

3 per un triplete.


Non voglio essere scontata e non parlerò delle tre partite più importanti, quelle che ci hanno permesso di conquistare il triplete. Anche perché l'anno del triplete è stato molto di più. Scelgo quindi tre momenti che meglio rappresentano ciò che ho provato quell'anno. 

Il primo non è un momento vero e proprio, ma una serie di rituali che mi hanno accompagnato per tutta l'annata. L'anno del triplete è l'anno della stessa canzone in macchina per arrivare al campo la domenica con le mie compagne di viaggio Clara e Ilaria. È l'anno della macchina parcheggiata lontano dal campo tutte le domeniche per colpa di un fioretto: "Se oggi vinciamo e segni, parcheggiamo tutte le domeniche qui" (anche se era a 300 metri dal campo). Abbiamo vinto e ho fatto gol e dal quel giorno, ogni domenica, io e Clara ci siamo fatte 300 metri a piedi per raggiungere il campo. Ma è anche l'anno delle super mega (le mie ex compagne capiranno), della foto di rito e di tutte quelle cose extra calcistiche che hanno accompagnato ogni allenamento e ogni partita.

Il secondo momento è invece un momento meno felice, perché anche se l'anno del triplete è l'anno delle mie più grandi gioie calcistiche è anche l'anno di una delle delusioni personali più grandi: il rigore sbagliato contro il Doccia. Quella partita l'abbiamo pareggiata, dando il via ad una serie di risultati negativi che alla fine ci hanno fatto perdere il primato in classifica (anche se per una sola settimana). Stavo facendo un anno da protagonista, avevo segnato molti gol, mi sentivo in forma e sentivo la fiducia di tutti. Un rigore è un rigore, lo so, solo chi ha il coraggio di batterli li sbaglia e tante belle frasi fatte, ma la realtà è che dopo quel rigore, dopo quel pareggio, dopo aver perso il primato in classifica, nessuna di queste frasi fatte riusciva a consolarmi. Se avessimo perso il campionato per quel rigore? Da lì ho un brutto rapporto con i rigori, anche perché nonostante tutto il mio allenatore continuava a darmi fiducia e io continuavo ad essere la rigorista di squadra. Io non volevo, ma tutti mi dicevano che non poteva essere un rigore sbagliato a farmi rinunciare a batterli. Non volevo tirarmi indietro e qualche partita dopo mi presento nuovamente sul dischetto, ma sbaglio di nuovo. Era una partita di Coppa Italia, una partita che abbiamo vinto e nella quale ho anche segnato. Ma a fine partita non riuscivo a pensare né alla vittoria né al gol segnato, solo a quel maledetto rigore sbagliato. Sono arrivata quindi a chiedermi "Perché di un'annata bella così non posso godere delle vittorie e dei gol segnati, ma devo solo pensare a questi rigori?". Ho quindi deciso di non batterli più e quando siamo arrivate ai rigori nella finale di Coppa Italia sapevo cosa fare. Avrei potuto battere il rigore, magari segnarlo e inserire una nuova gioia nella mia annata calcistica. Ma io ero felice di quanto fatto fino a quel momento, sapevo che non sarebbe stato quel rigore a rendermi più o meno protagonista del triplete e mi fidavo delle mie compagne. Non avevo bisogno di una gioia personale, avevo bisogno di una gioia di squadra. Non l'ho battuto, abbiamo vinto e sono riuscita a godermi la vittoria in tutto e per tutto. Quel giorno (dopo più di 15 anni di questo sport) ho imparato che il calcio è anche questo: è prendersi delle responsabilità, ma è anche capire quando è il momento di non farlo e fidarsi di chi è accanto a te, per te e per la tua squadra.

La terza "foto" è invece un momento fuori dal campo. Come detto ad un certo punto dell'anno avevamo perso il primato e potevamo solo sperare in un passo falso della squadra prima in classifica, il Monsummano. Quella domenica noi avevamo vinto e per riprenderci il primo posto in classifica dovevamo sperare in un risultato negativo del Monsummano contro la Pistoiese, la terza in classifica. Non ricordo perché ma loro giocarono qualche ora dopo di noi. Ricordo che dopo aver giocato restammo tutte al bar del campo in attesa del risultato. È per me quello un momento indimenticabile. Eravamo lì tutte insieme in attesa di risultati parziali che arrivavano a pezzi e bocconi, chi parlava di gol della Pistoiese, chi di gol del Monsummano, non si capiva più niente. Ma noi eravamo insieme, unite dall'ansia e dalla speranza, pronte ad esultare insieme o a farci forza a vicenda. Quando dico che il San Miniato era bello dentro e fuori dal campo intendo questo. Quel giorno abbiamo vinto sul campo e anche fuori, perché quella partita finì con un pareggio, noi tornammo prime in classifica e senza più perdere il primato.



L'eterna paura dei rigori; ci ha scritto un libro Peter Handke (La paura del portiere prima del calcio di rigore) lo ha cantato De Gregori (Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore)  e proseguendo la citazione "Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore" ma in realtà con tutto il bene che voglio al maestro ho sempre pensato che ci fosse un po' di retorica fasulla, perchè non è vero, De Gregori non giocava a calcio e si sente, perchè un rigore sbagliato ha macchiato carriere in modo indelebile e ha condizionato la memoria stessa che si ha del giocatore nel tempo (Roberto Baggio su tutti, ma non solo), e hai fatto bene a non tirarlo, credo tu abbia fatto la tua parte PRIMA di quel crudele tiro dagli undici metri.

Sulle altre due istantanee, che dirti? vorrei avere io dei ricordi calcistici simili.

Poi, dopo la bella favola, vi aspetta una stagione un poco al di sotto delle aspettative in serie C e funestata dall'arrivo del Covid, fino a un gelido giorno di luglio (ossimoro voluto) che anch'io ricordo bene per essermici trovato per puro caso, nel quale il San Miniato in pratica smette di esistere. 

Ricordo la tristezza di quella sera, e voi che però, dopo un emozionante spettacolo di Costanza che parlando di cadute e redenzione forse era involontariamente adatto alla serata, avete ripreso morale, eravate tristi ma non rassegnate, la voglia di lottare in voi ragazze è sempre più forte di qualsiasi fallimento; cosa ha provato, una veterana come te, a veder finire tutto questo?


Con Serena Pecchia.


Di quella serata mi piace ricordare solo le scarpe piene di fango il giorno dopo per colpa tua e di quelle pallonate a fine serata. Ho provato tante cose quella sera, la delusione e il rammarico per non aver fatto abbastanza per salvare questa squadra. Avevamo lavorato molto durante i mesi del lockdown per pianificare il futuro, ma alla fine tutto è stato inutile. Ricordo quando Clara, che più di ogni altro ha faticato per questa squadra, mi disse “A che cosa è servito tutto quello che abbiamo fatto? Non resterà niente”. In quel momento pensavo avesse ragione, pensavo che tutti i sacrifici fatti in quegli anni finissero in una bolla di sapone. Avevamo sopportato tutto per amore di quella maglia e alla fine avevano deciso di portarcela via da un giorno all’altro. 

Oggi a distanza di qualche mese penso che ci sbagliassimo. Non c’è più il San Miniato, ma non è vero che non è rimasto niente. È rimasto quello che abbiamo fatto in campo e quello che questa squadra ha rappresentato per me e per molte di noi. Ti ringrazio quindi di nuovo per avermi dato l’opportunità di parlarne e di ripensarci.

Quando a luglio mi hai chiesto di parlare di me calciatrice ti ho detto che non me la sentivo. Sapevo che in quel momento non sarei stata in grado di rendere giustizia a ciò che il San Miniato ha rappresentato per me. Avrei parlato solo di delusione, amarezza, rabbia, sacrifici buttati via, tempo perso e mancanza di rispetto. Ma il San Miniato non è quella sera di luglio, il San Miniato è questi 6 anni che ho provato a descrivere per ciò che hanno rappresentato per me.

Non torno a parlare di colpe e responsabilità, ma gli occhi delle mie compagne dopo quella riunione non li dimenticherò mai. Era finita e noi dovevamo affrontare una cena organizzata per divertirsi che invece rischiava di diventare una serata terribile. Anche in quel caso però siamo state brave e abbiamo dimostrato la nostra unione. Ci siamo divertite nonostante tutto, perché sapevamo di meritarci un'altra bella serata insieme. Come dico sempre tutto quello che è successo mi ha portato via una "casa", ma non mi porterà mai via i bei ricordi legati al San Miniato, tra i quali c'è anche quella sera.


Gli occhi della sera me li ricordo anch'io, arrivato li senza sapere niente e vedere quei volti smarriti, mi ricordo Valeria che mi spiegò la situazione e non ci volevo credere. Però nel tuo ennesimo splendido intervento hai anticipato tutto quello che avrei detto io; non è vero che non rimarrà niente, perchè il tempo, te lo dico per esperienza, lava via il brutto e tiene il bello, e nel vostro futuro ci sono cene e ritrovi con le persone con cui rimarrai sempre amica e nei quali parlerete di qaunto era grande il San Miniato, rimarranno le cose belle e le meschinità saranno smaltite dalla mente come scorie nocive. Hai fatto bene ad aspettare e sono convinto che i lettori la penseranno come me, come ti dissi a Luglio ti avrei aspettata poiché sapevo che era una questione di tempo, che alla fine avresti preferito salvare e non dimenticare, hai troppa passione per questi colori.

Una domanda di alleggerimento; so quanto sei forte perchè ti ho "affrontata" stando in porta, proprio quella sera, in una calcettata improvvista post-teatro; ricordo ancora un tuo colpo di testa a incrociare su un cross di Carlotta Bernardini che è stato MAGIA pura. Ecco, qual è il meglio del tuo repertorio, del tuo bagaglio tecnico?


Oddio è una domanda difficile questa, perché non sono molto brava a parlare di me. Il colpo di testa sicuramente è sempre stato un fondamentale che mi ha contraddistinta, nonostante la mia statura non proprio altissima. Dicono che corro tanto, che non mollo mai e che sono sempre ordinata in campo. Direi basta, anche perché ho sicuramente già esagerato!




Senti, se io creassi (si fa per scherzare) una squadra di calcio femminile una come te la prenderei subito, perché ho idea che di testa tu non sia brava solo a colpire il pallone, tu la testa la usi in tutti i frangenti, e non è così scontato. Il centrocampista d'ordine e che non molla mai alla Ancelotti ci vuole in ogni squadra, fortunato chi ti ha preso adesso...e infatti arriviamo al presente, un presente derelitto come si sa, ma che ti vede comunque fare parte del nuovo Siena risorto dalle ceneri delle due società fallite in estate; come vedi questo nuovo progetto? sei contenta che Siena città, nonostante tutto, provi ancora a investire sul calcio femminile? e quando pensi al futuro, poiché quando il virus non ci sarà più voi ci sarete ancora, cosa ti immagini per il calcio femminile toscano?


Dopo il fallimento del San Miniato avevo deciso di chiudere con il calcio a 11. Come quando raggiungi il massimo in qualcosa e pensi che qualsiasi altra cosa non sarà mai all'altezza. Ma quando sono riuscita a metabolizzare la delusione, ho capito che anche senza San Miniato avrei potuto ancora divertirmi a giocare a calcio. Mi avevano portato via una “casa”, perché dovevano portarmi via anche la passione? La vicinanza a casa è sempre stato un mio punto fermo nella scelta delle squadre e l'opportunità offerta dalla nuova Società del Siena mi sembrava un buon modo per ricominciare. Del "mio" San Miniato resta solo il nome, perché alla base del progetto societario ci sono volti nuovi e penso che sia un bel modo per poter ricominciare a costruire il calcio femminile a Siena. Il calcio femminile Toscano sta crescendo, ormai sono tante anche le squadre toscane nelle categorie maggiori e Siena è sempre riuscita a dire la sua. Credo che sia un buon modo per progettare un futuro, soprattutto in un periodo precario come questo.


Si, è un buon modo, in ogni caso è qualcosa, non è il niente che si prospettava in agosto; invito tutti coloro che leggono a dare fiducia a questo progetto, tifiamo per le ragazze domenica dopo domenica, in quanto le calciatrici sono sempre quello che più conta e hanno bisogno del nostro sostegno.

Ultima domanda;  quale consiglio vuoi dare a una bambina che sta pensando di cominciare a giocare a calcio?


Alle generazioni future auguro di non dimenticare mai la passione, quella stessa passione che è sempre stata una base di partenza per me. Come ti ho detto il calcio femminile sta cambiando, si sta evolvendo e sta prendendo sempre più importanza. Vorrei però che alla base di tutto restasse quella voglia e quella passione che va oltre i soldi, le vittorie e le categorie. Per me il calcio è stato questo (anche perché non ho giocato certo in Serie A) e anche se auguro a tutte di arrivare ai massimi livelli, mi piacerebbe che nessuno dimenticasse le piccole cose, l’importanza del sacrificio e di trovare una seconda famiglia dentro lo spogliatoio. 


Velocissima verso il futuro, Francesca si congeda così, sul campo.



Hai chiuso veramente in bellezza, un ultimo bellissimo goal sul finale. Non c'entra nulla aver giocato la serie A, te lo dico convinto, non è mai una questione di categoria, anzi le storie più belle le ho trovate nelle serie cosiddette minori, tutto è calcio e tu meriti lo stesso rispetto e affetto di una Bonansea, e questo sono convinto con tutto me stesso. 

Mi piace pensare poi che il calcio femminile sia anche una storia di eroine solitarie, che cadono, anzi vengono fatte cadere, ma trovano sempre la forza di rialzarsi, aiutando anche altre a farlo, e di continuare a credere in un progetto, a dare tutte loro stesse ogni volta, e le cose che dici che non vanno dimenticate sono quei valori senza i quali il calcio femminile non sarebbe nemmeno arrivato ad averla, una A; queste "serie minori" sono l'humus, il substrato su cui una Fiorentina o una Juventus hanno potuto piantare i propri semi, proprio quella elite che si è "svegliata" scoprendo il femminile ma al tempo stesso non sta facendo niente per venire incontro a un calcio dilettantistico mai così in difficoltà; ma alla fine di tutto ci sarete voi, che con la vostra passione e la voglia di esprimerla darete un futuro al calcio femminile,  riuscirete dopo il virus a creare altri sogni sull'erba; non ho paura per il futuro del movimento perché ci sono persone come te, Francesca, forse sei davvero un supereroe, tu e le tue compagne, con la vostra forza, la vostra tenacia e il vostro non arrendersi mai.






sabato 7 novembre 2020

IL ROMANZO CALCISTICO E UMANO DI ALESSANDRO OLIVOLA, PREPARATORE ATLETICO DEL BADESSE.

 


Care lettrici e cari lettori,

a volte è bello campare di rendita. Perché grazie a persone fantastiche come Alessandro, conosciuto da poco ma già un amico  col quale condividiamo le stesse idee sul calcio femminile e l'apporto che, da uomini, possiamo dare al movimento, alla mia proposta di concedermi un'intervista mi ha mandato il suo romanzo, non solo la sua storia, ma la sua storia CON SENTIMENTO, riuscendo a essere esauriente come le mie domande, seppur mirate, non avrebbero potuto essere mai.


Alessandro con la sua nazionale MPS

Con il leggendario Angelo di Livio.


Per cui mettetevi comodi e leggete le storie di una persona la cui passione per il calcio è partita da lontano per poi scoprire e innamorarsi del  femminile solo di recente, ma consacrandosi poi alla causa senza esitazioni, come successo anche a me, per questo ci capiamo così bene.

Per cui Benvenuto sul Viola e il Rosa Alessandro, sei un ospite graditissimo, ti lascio la parola.


Ciao Omar ti ringrazio per avermi dato la possibilità di conoscerti e l’onore di poter scrivere sul tuo blog è sempre bello conoscere persone di calcio come te che fanno del bene al calcio femminile.

Mi chiamo Alessandro Olivola, ho 40 anni di cui 34 spesi nel calcio fra giocatore e allenatore. Non saprei sinceramente come iniziare, perché se mi riguardo indietro mille ricordi assaltano la mia mente, e allora ho deciso di cominciare dall’inizio. 


Ho tirato i miei primi calci al pallone all’età di 6 anni nella scuola calcio della Colligiana, quando ancora era al mitico “campo vecchio” di Colle. Erano gli anni in cui c’erano ancora i miti dei numeri, se eri il fantasista avevi il 10 il centravanti aveva il 9 il mediano quello grosso che faceva legna aveva l’8 se eri il mancino d’attacco avevi l’11, a me fu assegnato il 7 e facevo l’esterno destro. Mi sono affezionato da subito a questo numero anche perché agli inizi ero un po’ scoordinato nei movimenti e il grande “Mino” mister scomparso ma sempre  nel cuore di tutti i ragazzi del 1980, mi diceva sempre “Ti ho trovato proprio il numero adatto, sei torto come un 7” a me piaceva più pensare che poi, alla fine, se ci si pensa  bene il 7 rappresenta proprio il movimento che che deve fare un esterno allargarsi per poi tagliare e buttarsi al centro. 

Passano gli anni e arrivo al settore giovanile dello Staggia, società che in quegli anni vantava uno dei migliori settori giovanili della zona, ma il grande salto in prima squadra lo faccio con la Casolese, con il ds Marrucci e il purtroppo altro scomparso mister Scarpellini, altro nome caro a tutti i giocatori che hanno avuto il piacere di conoscerlo. 

Ero arrivato nel calcio che conta, il sogno che avevo da bambino di esordire in prima squadra si stava per realizzare, il numero 7 era sulle spalle di un’altro mio compagno più bravo di me ma ero li, esattamente dove volevo e andava bene così. 

Purtroppo la mia “carriera” calcistica ha conosciuto qualche infortunio di troppo e purtroppo anche abbastanza gravi, da tenermi fermo 3/6 mesi. Per questo ho cambiato molte società, spesso venivo dato in prestito, per vedere un po’ come le mie ginocchia scricchiolanti avrebbero reagito. 

Contemporaneamente ai miei impegni calcistici e al recupero dei miei infortuni mi appassionai  all’idea di fare l’allenatore, iniziando dal calcio a 7 Uisp. Le prime squadre erano create dal niente, con ristoranti o bar che facevano da sponsor, e le prime cavie come giocatori gli amici di sempre, quelli con cui  condividevi tutto e mangiavi pane e pallone insieme, e anche lì a studiare.  

Il punto più alto della mia “carriera” se così si può dire, e stata la stagione 2011/2012 con il mio arrivo al San Donato Tavarnelle in eccellenza, dove collezionai 7 presenze prima di un altro brutto e lungo stop. Con il calcio a 7   ci siamo tolti delle grande soddisfazioni, quell’anno vincemmo il campionato, la coppa provinciale e andammo alle regionali ancora vincendo e  alle nazionali ci siamo tolti comunque qualche bella soddisfazione, era la squadra del  peperoncino cafe’, un gruppo di ragazzi che non dimenticherò mai, il primo successo da allenatore, la prima coppa alzata al cielo. 


L'inizio di una bella carriera.


Pensai seriamente al ritiro dal calcio giocato, a soli 32 anni avevo collezionato troppi infortuni e andai a bussare alle porte della società che mi aveva cresciuto, ovvero la Colligiana, per fare l’istruttore di scuola calcio dove proprio quell’anno la società si affiliò al progetto Milan accademy da lì iniziai a studiare sodo, un conto è essere stato un giocatore un conto era insegnare calcio. 


Milan academy


Poi un grande amico anche oggi nel presente, Paolo Bravi, mi segnalò al presidente Gianni Quercioli del "Luigi Meroni" come un giovane allenatore di belle speranze con idee nuove, e l’anno dopo sono alla guida proprio del Luigi Meroni in terza categoria, il mio esordio a torre Fiorentina fu indimenticabile, un ragazzo di 32 anni alla guida di persone più grandi di me.


al Luigi Meroni.


Dopo l’esperienza amatori, scuola calcio e categoria,  non mi rimaneva che decidere cosa fare, e scelsi la cosa più ovvia, che ti mette di fronte il regolamento FIGC, tesserarmi per una società e fare scuola calcio e tenermi gli amatori Uisp con i quali nel frattempo passammo a 11, perché gli amici erano aumentati, e sempre come allenatore perché la paura di farsi male giocando era tanta, il portiere non lo sapevo fare, il più scassato ero io, e quindi “Ale te fai l’allenatore”.


Come da calciatore, anche da istruttore scuola calcio giro molte società, e nuove affiliazioni con società professionistiche come Empoli e Atalanta. Volevo apprendere e imparare, e quindi dopo Colligiana e Gracciano mi ritrovo al Valentino Mazzola, altro tempio del calcio per scuole calcio e settori giovanili. 



Ale coi suoi piccoli calciatori.



Sembrava tutto andare per il meglio, in pochissimo tempo mi ero affermato come istruttore di scuola calcio, sembravo capirci qualcosa anche nell’11 negli amatori, mi documentavo e facevo corsi uscendo anche fuori regione, fino ad arrivare a Novara, pensa, dove conosco per la prima volta il calcio femminile di prima mano e non solo per sentito dire.

Che spettacolo, fu amore a prima vista, ma come ti dicevo, sembrava andare tutto bene, poi con lo stesso rumore di un quadro che cade in piena notte, arriva la notizia della malattia di mia mamma fino alla sua scomparsa. Ti crolla un mondo addosso vedere spegnersi una persona giorno dopo giorno, e preferisco non andare oltre scusami. Il calcio per me fino al quel momento erano i sorrisi dei miei bambini, e le pacche sulle spalle dei miei ragazzi nell’amatori, ma se non potevo più sorridere di conseguenza come potevo fare calcio?


Ed ecco che ancora il mio grande amico Paolo Bravi arriva in mio soccorso, a lui devo molto, mi fa parlare con un dirigente del Cral mps o meglio mi convince e mi ci porta di forza, il responsabile era Claudio Peluso, tutt’oggi responsabile della sezione calcio Cral mps, e mi dice che ci sarebbe la possibilità di fare il secondo  in terza categoria con il Siena Nord di Massimo Pascuzzo e di dare una mano agli amatori del Cral mps di Vincenzo Meini.

 Dopo varie riflessioni e bevute con gli amici eccomi di nuovo in pista, o meglio in campo, partecipando a tornei, mini campionati e quant’altro sento che manca qualcosa, sono i miei bambini, quella gioia del calcio che nelle squadre dei grandi si è persa un po’. Ed eccomi di nuovo nelle scuole calcio, fra il sorriso dei miei bambini e alla fine del 2014 mi ritrovo in una società di quartiere di Siena  l’Alberino, e così  a una cena della società sono vicino a tavola con Anna Mancuso, oggi in forza al Badesse, mi parla di una squadra di calcio a 5 femminile, e che avrebbe bisogno di una mano, sia per il campo che per la preparazione dei portieri, ancora questo femminile, ancora questo treno che si ripresenta e questa volta deciso di salire, mai scelta fu più azzeccata, ad Anna devo tantissimo se oggi sono quel che sono nel femminile, mi ha insegnato come gestire un gruppo di donne scalmanate e di come tirare fuori il meglio da loro stesse. Dopo ottimi risultati parte l’annata 2017/2018 quella che per tutta la vita ricorderò come la stagione da incorniciare quella della svolta, per  impegni di lavoro di Anna mi cede il timone dell’Alberino ma è grazie agli ottimi risultati della precedente stagione se il telefono squilla e c’è un paese fuori Siena, Buonconvento, che riparte con la squadra amatoriale, con forti ambizioni; ma la telefonata che non ti aspetti e ancora quella di Claudio Peluso, con l’incarico d’affidarmi la nazionale italiana femminile della Montepaschi. Penso di non aver dormito per 2 notti; in soli pochi anni, essere un allenatore già preso in considerazione per tali incarichi è un'emozione straordinaria. 


Nell’Alberino, dopo gli ottimi risultati come preparatore dei portieri e secondo appunto di Anna Maria Mancuso, il tandem si inverte, Anna tornando al calcio giocato e io come primo allenatore, di una squadra allestita e vocata per puntare alla vittoria. E così è, dopo gli anni di sacrifici di Anna che ha spianato la strada per il successo, e toccato a me portare il primo titolo storico nella società Alberino, ma il grande merito va ad Anna e a tutte le ragazze di quella squadra soprannominata poi la “corazzata alberino” che poi ben figurò alle regionali ma soprattutto alle nazionali ottenendo un terzo posto.


Corazzata Alberino.


Contemporaneamente, a Buonconvento nell’anno della rinascita del movimento calcistico sfioriamo il piazzamento play off della promozione di soli 2 punti, con il rammarico di non esserci entrati, ma con la soddisfazione che come primo anno avevamo fatto un piccolo miracolo.


Buonconvento.


Ma i miei impegni non erano finiti, e quando tutti iniziano a godersi le meritate vacanze io invece sono già a lavoro sulla nazionale MPS, e come davvero in una favola quell’anno chiudo la stagione con un titolo italiano e un titolo europeo grazie a una squadra fantastica e a uno staff meraviglioso. 


Nazionale MPS nel 2017




La stagione 2018/19 inizia su le ali dell’entusiasmo della precedente considerato chiuso il mio ciclo all’Alberino si apre un nuovo capitolo, quello di portare per la prima volta il femminile nella società del Castellina scalo, spostandoci sulla uisp Firenze, campionato di primo livello, non ti nascondo le ansie e le paure iniziali di confrontarsi con realtà del calcio a 5 femminile con società esperte e ben organizzate. Ma la forza di un gruppo sta nel fatto che quando ti poni un obiettivo fa di tutto per raggiungerlo, e fummo campioni provinciali. E con la nazionale? Beh, bi-campioni italiani e bi-campioni europei per la seconda volta consecutiva. (NB; CHAPEAU!!!!)


Un super trofeo meritato.



Ed eccoci finalmente ai giorni nostri, alla stagione 2019/20 che nel mio cuore non verrà ricordata solo come la stagione del covid ma per un altro grande avvenimento della mia vita, dopo la conclusione della stagione vincente con il Castellina scalo per la società era tempo di cambiare, così inspiegabilmente mi ritrovai a “spasso”...ma grazie alla forte amicizia nata con Enea Cosentino mister delle Radiattive calcio a 5 femminile di Radicondoli vengo chiamato per collaborare con lui nel progetto, come lo stesso Enea è un mio collaboratore nella nazionale. La società del comune di Radicondoli era giovane, fondata solo da due anni e formata per la maggioranza da ragazze del posto e quasi tutte senza esperienze calcistiche. Il progetto mi allettava, e quindi accettai,  non dimenticherò mai quel momento perché al telefono mi arrivo’ di tutto; messaggi, vocali, telefonate di cosa ci andrebbe a fare uno come me in una squadra da 6 punti a campionato, ma volevo zittire quelle voci, volevo rimettermi in gioco, volevo dimostrare a tutti il mio vero valore, e ho conosciuto un gruppo mai così bello,unito, avevo e ho finalmente trovato “casa” , la mia famiglia, la famiglia Radiattiva!

 Il lavoro comincio’ molto presto, e iniziò da subito a dare i suoi frutti, ma ci fu un’altra bellissima sorpresa a allietare l’estate 2019, verso fine agosto arrivo’ la chiamata di Gianluca Fineschi di entrare nel progetto Badesse, avendo bisogno di un preparatore atletico, e con le mie conoscenze migliorare la tecnica delle ragazze. Fu una bellissima novità per me, qualche giorno per pensarci e una settimana dopo sono già a Uopini, per l’inizio della preparazione. Quindi fra una partita delle Radiattive, dove continuavano a fare passi da gigante, perché dopo un avvio di coppa provinciale con ben due sconfitte e un pareggio in campionato, iniziarono ad arrivare le prime vittorie, caspita era incredibile non riuscivo a credere ai miei occhi, tutta quella dedizione e attenzione verso uno sport verso quel pallone io per la prima volta l’ho vista solo con queste ragazze, e con Enea poi e stata un’intesa fulminea, imparavamo l’uno dall’altro, era incredibile!  Nonostante l’avvento del covid il nostro campionato riesce comunque a terminare con le Radiattive al quarto posto, degno coronamento di una stagione straordinaria.


Le straordinarie Radiattive, una squadra che spero di farvi conoscere meglio.



Intanto a Badesse prosegue una preparazione dura e ferrea, e rimango stupito da quello che queste ragazze riescono a darmi, sulla preparazione ho impostato tutt sull’arma vincente del campionato disputato e fermato ahimè dall’avvento del covid, cercare di sovrastare l’avversario sulla parte atletica, anche per limare il gap tecnico, e questo mix mischiato a una grande forza di rivalsa fece togliere non poche soddisfazioni alla squadra. 


Il 2019 non ha visto alzare coppe e trofei, anche con la nazionale perdemmo sia la finale italiana e la finale europea, ma eravamo arrivati in finale, e creato l’ennesimo gruppo in pochissimi giorni in pochissime ore, uno di quei gruppi che oggi è formato da molte ragazze del Badesse.




Tante di queste ragazze della nazionale MPS ora giocano nel Badesse; Riconosciamo tra le altre Linda Di Gasparro, Anna Maria Mancuso, Jessica Caligiore, Debora Velvi, Maddalena Borri e Alessandra Massaro, e la consulente sanitaria Federica Pierini accanto ad Alessandro.

 

E arriviamo alla fine del mio lungo racconto con la stagione corrente, con il covid che purtroppo si sta ripresentando,  che minaccia ancora pesantemente e condiziona il mondo del nostro sport, ma nonostante gli strascichi il calcio vuole ripartire, e l’intenzione c’è in tutte le ragazze, attuando protocolli, autocertificazioni, nonostante tutto, siamo pronti ai nastri di partenza per una grande nuova avventura, e allora come non ringraziare queste ragazze, ma soprattutto Omar devo ringraziare una donna in particolare; mia moglie Noemi, senza di lei oggi non sarei niente nel calcio, spesso e lei che mi spinge ad andare avanti e io cerco di farlo nei migliori dei modi, collaborando con il gruppo affinché sia sempre il nostro uomo in più in campo. E allora avanti tutta, TESTA CUORE E GAMBE. 

Badesse 2020/2021


Ok, giusto per aggiungere una chiusura riprendo la parola... se qualcuno non si è emozionato con questo racconto allora veramente si cerchi un altro blog da leggere, perchè non saprei cosa altro dare di più. Alessandro, avremo tanta strada da fare insieme, perchè io il Badesse non lo abbandonerò mai, almeno fino a che ci siete persone come te, Federica, il cap Benedetta e tutte le fantastiche ragazze della rosa, ma credo che non ci verremo a noia, vedo nel nostro orizzonte, specialmente alla fine di tutto il casino Covid, grandi partite, grandi bevute e grande passione, perchè nel calcio vincere non è l'unica cosa che conta, è divertirsi e partecipare l'unica cosa che conta, e quando si trovano persone come te conta il viaggio, non la meta. Grazie per tutto Alessandro, hai gettato il cuore in ogni tua parola, credo che ogni squadra che ti ha avuto sia stata fortunata, e ora tra Badesse, Radiattive, nazionale MPS tutto è li che ti aspetta, la tua, la vostra, la nostra passione durerà più della pandemia, si toglierà dalle palle prima il virus, noi saremo sempre sul pezzo e tutto ricomincerà a pieni giri. Grazie per tutto quello che hai fatto, che fai e che farai per il calcio e le ragazze, e a prestissimo.




INCONTRO CON SARA COLZI, E L'IMPORTANZA DELL'OPEN DAY DEL PONTEDERA CALCIO FEMMINILE.

 Fin dalla splendida intervista che, ormai più di un anno fa, mi regalò (Potete trovarla qui;  IL VIOLA E IL ROSA: LE PROTAGONISTE; INTERVIS...