martedì 3 dicembre 2019

IL CALCIO FEMMINILE E LA DISCRIMINAZIONE; PICCOLA STORIA IGNOBILE.

Questa volta lascio da parte la nostra amata viola e mi occupo di temi più importanti, ossia di tutte quelle dinamiche che di fatto tarpano le ali al calcio femminile, condizionandone in negati vola diffusione, e di tutte quelle mascoline beceritudini che lo affliggono.


-SESSISMO


  “Manuela Giugliano è infortunata? Allora può tornare in cucina” questo è l’originale battutone apparso sul profilo twitter della AS Roma femminile  qualche giorno fa, giustamente segnalato dalla società.
In questa rete affamata di odio spicciolo, di meme offensivi mascherati da post satirici, fin dal primo giorno del mondiale le ragazze sono state oggetto di post sciocchi e desolatamente privi di qualsiasi forma di ironia o fantasia (facessero almeno ridere, per capirsi) con l’hashtag  “tornateaifornelli” a farla da padrone.

Si può tranquillamente affermare che le nostre siano state il bersaglio prediletto degli haters e dai troll nella prima parte della scorsa estate, quelli che hanno paura delle donne che giocano perché magari esse hanno la "colpa" di aver raggiunto un azzurro che l'hater assapora solo alla Play, che temono che in qualche modo le ragazze possano fare ombra al calcio maschile, che nei Tg sportivi gli si rubi due minuti di trasmissione per parlare di loro.

Simbolo, vessillo di questa assurda e crudele crociata è stata l’immagine del volto sorridente di Fulvio Collovati, postata ogni volta che le nostre subivano un goal, e ovviamente proliferata dopo la partita con l’Olanda. L’accostamento in realtà è pertinente, perché l’ex calciatore campione del mondo 1982 nel febbraio scorso fu protagonista di una esternazione assolutamente sconcertante, che gli è giustamente costata la sospensione dalla trasmissione “Quelli che il calcio”. 
“Una donna che parla di tattica mi fa rivoltare lo stomaco” fu la perla, continuando poi su questa falsariga tra i rimproveri dei conduttori e degli altri opinionisti, che sulle prime addirittura pensavano scherzasse tanto erano gravi i concetti che esternava.

 Ora, io mi chiedo come un calciatore che ha vinto molto, che per una vita ha vissuto di pallone, possa essere così privo di empatia, così offensivo con un movimento già in grossa difficoltà ad emergere. La parte più becera di internet non aspettava altro, “fate schifo, lo dice anche il grande Collovati” ecco il bel risultato ottenuto. Nei miei sogni immagino Milena Bertolini che lo trova a qualche evento e gli molla uno schiaffone in eurovisione, ma siamo appunto nelle fantasie più sfrenate, ben più fattibile sarebbe stato un bel video di gruppo di altri reduci dal mondiale 1982 (o anche 2006) in difesa delle donne che amano e giocano a calcio e di condanna per le parole del loro ex compagno di squadra. Niente. Oppure un bel video di scuse dello stesso Collovati, anche dopo il mondiale, un bel “scusate ho detto una sciocchezza tremenda, siete forti e brave” ma ancora niente, peccato davvero. Comunque, per inciso, tutto quello che so di calcio e di tattica (parecchio, mi si perdoni l’immodestia) l’ho appreso già in tenera età da mia madre, grande appassionata di calcio, e mi chiamo Omar in onore di Sivori che era il suo idolo, mentre mio padre di calcio se ne frega, per dire.

-OMOSESSUALITA’

“Ma basta dare i soldi a ‘ste quattro lesbiche!” anno 2015, sorprendentemente dopo Cristo. Questa becera esternazione,  pensiero da bar diffuso ma che invece esce della bocca illustre di (in)Felice Belloli, all’epoca presidente della lega nazionale dilettanti, uno che avrebbe dovuto sostenerle e proteggerle, indigna ancora, ma per il tono di disprezzo, non tanto per quello che esprime, perché il termine lesbica di per se non è un’offesa, è un modo di essere e una scelta di vita concessa alle donne di ogni paese civile, e poi si, in nazionale o in serie A ci potrebbero essere due, tre, quattro, anche molte di più donne omosessuali.
E allora? Chi se ne frega di quante ce ne sono e di chi sono? Dobbiamo vederle giocare a calcio e tifare per loro o fantasticare  su cosa fanno e con chi nelle loro camere da letto? Ve lo siete mai chiesto per i calciatori uomini, è mai stato importante? Il coraggio di Elena Linari, prima italiana a fare coming out “ufficiale” è indubbio, e sicuramente ha ragione dicendo che in Spagna e nel resto d’europa  la cosa viene vissuta con molta più apertura mentale che non da noi (indubbiamente nelle grandi città è così, in contesti più rurali ho qualche perplessità..) ma ci sono altre calciatrici che già da tempo esternano i loro sentimenti anche via social per le loro compagne (non faccio nomi, questo non è un blog di gossip) e fortunatamente nessuno, in nessun caso, durante una partita ha mai fatto un coro stupido verso di loro.

Perché, paradossalmente, in questo singolo caso le donne sono avvantaggiate rispetto agli uomini, possono dirlo senza troppi problemi semplicemente perché il calcio femminile è pulito e quello maschile no.
 Immaginatevi, ad esempio, un calciatore della Juventus, la squadra italiana con più rivali, che dichiara la propria omosessualità; avrebbe finito di vivere, ogni volta che la squadra gioca a Firenze, Napoli, Roma, Milano etc. per la tifoseria più becera sarebbe il frocio, il ricchione, il busone, il finocchio da mettere alla berlina; scusate i termini volutamente forti ma andrebbe proprio così, e il suo gesto di coraggio verrebbe svilito da un teatrino infame che lo perseguiterebbe per tutta la sua carriera, quindi, Elena, mi dispiace ma sono in disaccordo con te quando dici che un giocatore, se omosessuale,dovrebbe dichiararsi per dare un esempio, il calciatore gay che non ammette di esserlo non è vigliacco, ha solo buonsenso (e scommetto che anche le società impongono questa linea)  il tifo maschile dei buu razzisti e delle banane in campo non aspetterebbe altro che un ulteriore diversivo per fare e farci ancora più schifo.


-PROFESSIONISMO


Nei giorni scorsi, come ormai è risaputo, è scoppiato il caso Giulia Orlandi, centrocampista della Florentia San Gimignano che ha lasciato il calcio ancora giovane e in forma, e chi ha visto il suo partitone contro il Milan (io, io!!) può confermarlo, per dedicarsi a tempo pieno al lavoro. Ora, non voglio stare ulteriormente a rimarcare la sua già discussa vicenda, ma la prendo comunque ad emblema di una sconfitta, quella del movimento del calcio femminile italiano, che senza il professionismo ha visto centinaia di promettenti tesserate rinunciare ancora prima di lei a un sogno bellissimo per un altro, un posto di lavoro fisso, che è appunto un sogno anch'esso, ma che comunque rappresenta un ripiego rispetto alle proprie naturali inclinazioni.
Immaginatevi un Messi o uno Mbappè che a un certo punto della loro carriera si trovano costretti a lasciare il calcio per trovarsi un lavoro, vi sembrerebbe giusto? E allora perché lo deve essere per una donna? Questa non è solo discriminazione, è di più, è sopruso, è crudeltà, è cancellare i sogni delle ragazze, calpestare il talento che invece DEVE poter essere espresso dalle fortunate che lo possiedono.

Le colpe sono di tanti, in primis dei mass media, che parlano parlano e poi fanno vedere poco, a cominciare dalla Rai; bello invitare Milena Bertolini al novantesimo minuto, e allora perché non fate vedere nella stessa trasmissione anche  i goal del campionato femminile? E perché non passate qualche partita su Rai sport? E vogliamo parlare di Mediaset, che nei programmi sportivi non parla di Serie A femminile preferendo la passata di Cristiano Ronaldo e le uniche donne “di calcio” che mostra sono wags particolarmente attraenti? Come si fa ad appassionare la gente al calcio femminile se non lo si mostra sulle reti in chiaro? Fino a che i media non cominceranno a “spingere” con decisione la disciplina, le timide proposte di legge rimarranno appunto proposte, perché semplicemente non ci sono i fondi per garantire uno stipendio fisso compreso di contributi.
Che poi, non è che con il professionismo si trasformerebbero automaticamente le calciatrici in milionarie, come assurdamente pensa diversa gente. Anzi, se adesso il limite massimo del rimborso spese che di fatto sostituisce lo stipendio è di 30.658 euro (ma è appannaggio delle giocatrici più forti delle squadre più ricche, non certo di tutte) anche il tetto  di salario previsto dall’emendamento discusso in parlamento la scorsa settimana sarebbe di 30.000 euro LORDI all’anno, quindi a conti fatti sui 21.000 euro netti, quindi meno del rimborso spese di adesso ma perlomeno tassato e coi contributi che maturano, come quello appunto di un professionista. Sarebbe uno stipendio buono, certo, ma che come già detto spetterebbe solo a poche; se una Bonansea o una Giacinti o qualche calciatrice straniera di nome potrebbero effettivamente ricevere questi soldi (più gli sponsor e i premi della nazionale) una difensore, faccio solo un esempio, dell’Orobica non si avvicinerebbe nemmeno lontanamente a questo tetto massimo. Per l’amor del cielo, è anche giusto che il maggior talento sia meglio pagato, ma se esiste un campionato è anche grazie alle calciatrici meno blasonate, per le quali deve essere garantito un salario minimo di almeno mille euro al mese nette, qualcosa di simile a uno stipendio appena decoroso.
Lo so, per molti/e restano  comunque ragazze che si “divertono invece di lavorare” ma nel pacchetto metteteci possibili infortuni dolorosi, esposizione mediatica difficile da gestire, lontananza dalle proprie famiglie, posticipazione di una possibile desiderata maternità negli anni migliori della carriera, tutti problemi che una donna che lavora in ufficio a tempo indeterminato magari non ha, quindi la cifra che  ricevono mi sembra congrua o anche, ve lo devo dire? troppo bassa, proprio perché anche con un regolare contratto e i contributi pagati resta un’attività precaria e faticosa, un infortunio serio o un sinistro e sono lo stesso fuori dal giro, devono ricominciare tutto da capo, le società non possono pagare una calciatrice infortunata per mesi e mesi.

Quindi, professionismo prima possibile, perché esso è dignità, è sicurezza, è futuro; ma prima i media facciano la loro parte, non stanno facendo abbastanza, devono investire e credere nel calcio femminile, come ha ingranato in tanti paesi di calciofili pian piano ingranerà anche qua da noi, ma allo stato attuale delle cose le società non possono assumersi l’onere di investire come “aziende” perché manca ancora il ritorno economico. Ecco perché Giulia Orlandi e tante altre prima di lei non hanno potuto e non possono aspettare, perché siamo ancora troppo lontani dalla meta.

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