domenica 5 luglio 2020

INTERVISTA A FRANCESCA BALDINI, UN'ARABA FENICE.


Da quando ho creato questo blog il mio intento primario è stato quello di trasmettere emozioni, di trovare ancora il bello in uno sport, il calcio, che a livello maschile ormai sopravvive solo nell'ostentazione, del trofeo da esibire e rimarcare ( trionfi di un passato ormai quasi remoto, a essere sinceri...) dimenticando le storie dei singoli, tutte quelle che la storia dello sport si porta via, che destano curiosità, interesse, e poi passano schiacciati dal peso di altri articoli, della macchina che tritura le emozioni.
Beh, quella di Francesca Baldini è una storia di cadute e di riscatti sempre più importanti, fino ad arrivare a quello più difficile di tutti, non un infortunio, non la perdita di un trofeo all'ultimo istante, ma la vita che sta sfuggendo via e ripresa un attimo prima che l'inevitabile si compia, e una successiva sfida con questa vita stessa; Francesca è un'eroina, una delle donne che più ammiro in assoluto, perchè non si è limitata a sopravvivere a un evento quasi fatale, si è presa indietro quello che un cuore capriccioso stava per toglierle.

Francesca, un cuore che ha ripreso a battere..e ad amare la vita.


Ma Francesca non è stata solo questo, è stata una calciatrice di alto livello e ora una sportiva tenace e caparbia che potrà ancora vivere i trionfi sulla pelle, con un'altra disciplina, certo, ma le emozioni dello sport sono le stesse, lo sport è la vita che non si accontenta di essere solo vita, e Francesca non è mai stata una che si è accontentata di niente.
Se avete impegni o state per uscire lasciate perdere, mettetevi comodi perchè leggendo vi potete arricchire, ricevere una vera lezione di vita, una di quelle senza retorica e dalla viva voce di chi c'è passato, perchè Francesca non pontifica mai, non ordina e non recita, ma dice.

Ciao Francesca, grazie ancora per aver accettato di essere ospite de "Il viola e il rosa" vuoi innanzitutto presentarti ai lettori?

Ciao a tutti i lettori, sono Francesca Baldini e sono nata il 22 aprile del 1990 a Fiesole.
Ti ringrazio Omar per avermi contattata per questo tuo progetto in cui vengono raccontate le esperienze di noi calciatrici in anni in cui non eravamo sotto i riflettori come adesso, quindi sono contenta di poter raccontare quello che è stato il nostro mondo e che la maggior parte delle persone non conosce.

Sei gentilissima Francesca, sono io che ti ringrazio per l'onore che mi fai accettando di raccontare le tue storie proprio a me.
Parlaci di Francesca bambina e ragazzina; chi o cosa ti ha fatto innamorare del pallone? Suppongo che anche tu, come quasi tutte le calciatrici della tua generazione, abbia dovuto cominciare a giocare in squadre maschili. Se si, come è stato l'impatto con questa realtà, e il rapporto coi tuoi compagni?

 Quello per il calcio è stato un colpo di fulmine; ho iniziato a giocare a 5 anni, i miei primi calci al pallone mi sono stati raccontati da mia mamma, e ogni volta è un ricordo che mi fa sorridere; ho due fratelli più grandi, mia mamma ovviamente per gestirci al meglio ci spostava tutti insieme "a pacchetto unico" in pratica quello che faceva il più grande facevano i due più piccoli. Un giorno mia mamma accompagnò i miei fratelli all'allenamento nella loro scuola calcio, e a quanto mi hanno raccontato quel pomeriggio sono stata due ore di orologio a calciare un pallone contro un muro, e questo è stato il mio inizio, contro quel muro è nato il mio amore per il calcio e da 5 anni fino ai 24 non ho mai smesso, lasciando che il calcio diventasse la mia vita.

Nata col pallone tra i piedi.

Coi maschi ho giocato 9 anni; per 5 anni ho giocato a Novoli, poi nel 2000 sono passata al Firenze Ovest dove ho giocato altre 4 stagioni, sicuramente è stata un'esperienza positiva perchè nei primi anni  la scuola calcio, anche se maschile, è fondamentale nel percorso di un qualsiasi calciatore e calciatrice, giocare coi maschi non è mai stato un problema per me, anzi ero coccolata sia dai compagni che dai loro genitori, ero "la Francesca" la ragazza speciale in quel contesto, e mai mi hanno fatto sentire diversa. Giocare coi ragazzi è stato positivo anche perchè il loro gioco è veloce, fisico e la tecnica è di alto livello. I ricordi sono positivi e con loro ho instaurato davvero dei buoni rapporti anche fuori dal campo.



Francesca ai tempi del Novoli...

...e qui al Firenze Ovest.


Mi fa piacere, ancora una volta, leggere di una bambina-poi-ragazza rispettata dai compagni e dalle famiglie, sono cose che mi fanno piacere, evidentemente la discriminazione è pane dell'età adulta, almeno per gli imbecilli che la praticano.

Poi finalmente, a soli 14 anni, ti trovi a indossare i prestigiosi colori del Firenze, in primavera; cosa ci puoi raccontare della tua prima esperienza in maglia viola? che ambiente hai trovato, e chi furono le prime compagne di viaggio alle quali sei stata più legata, e che magari hai ritrovato anche successivamente?

Si, a 14 anni obbligatoriamente ho dovuto interrompere col calcio maschile per andare in squadre tutte al femminile, ti dirò che all'inizio non ero molto convinta, stavo bene coi maschi e il calcio femminile era per me un'incognita, non sapevo bene cosa mi aspettava. Quando giochi nel calcio maschile hai l'idea che il femminile sia diverso, forse di qualità inferiore, non sai bene cosa ti aspetta.
Passai al Firenze a 14 anni, e per l'età venni inserita nella primavera, ma già un mese dopo l'allenatore dell'epoca del Firenze, che era Francesco Ciolli, mi volle subito con se, e mi sono ritrovata catapultata nella realtà della serie A2 e per due anni, fino al 2006, mi allenavo con la prima squadra e poi andavo a giocare con la primavera. Per me allenarmi subito in prima squadra fu bellissimo perchè comunque da quattordicenne ritrovarmi con calciatrici che in quegli anni erano già esperte era elettrizzante; il capitano era Serena Patu, una donna eccezionale, ti richiedeva impegno ma era anche la prima a scherzare negli spogliatoi, c'era già Giulia Orlandi, ancora molto giovane ma già un "carrarmato" in senso positivo, forte anche mentalmente, ed era già un idolo per me, una giocatrice che è veramente un esempio per qualsiasi ragazzina; Giulia era veramente la calciatrice per eccellenza, umile, forte, la prima a mettere davanti a tutto la squadra, una persona altruista che aiuta le giovani nell'inserimento di una squadra, che da tanti consigli, un esempio inimitabile. E poi c'era anche Alia Guagni, veramente calciatrici eccezionali che da un lato mi aiutavano a inserirmi ma con cui era anche difficile allenarsi insieme, da ragazzina mi sentivo inadeguata, agitata, avevo paura di sbagliare perchè poi mi sentivo giudicata, con gente come loro ti senti in grande soggezione. Che poi in prima squadra c'erano anche calciatrici di 35 anni, e come impatto non è stato semplice anche se mi sono sempre sentita in famiglia, a soli 14 anni mi trattavano come una pari età. 
Ricordo che in quegli anni in squadra c'era Daria Nannelli, purtroppo scomparsa due anni fa in incidente stradale; Daria era la casinista, quella che faceva partire i cori nello spogliatoio, sempre a far battute col suo sorriso contagioso, e per questo la ricordo con tanto affetto, e un pensiero speciale lo voglio dedicare anche alla sua mamma Viviana, perchè era ed è una persona eccezionale, e la nostra prima tifosa. 
Per me quindi è stato un inizio molto bello davvero, che anche solo guardandole imparavi tantissime cose che una quattordicenne non avrebbe mai imparato tanto in fretta allenandosi in altri contesti. Certo, ho avuto anche dei momenti di "nonnismo" ma positivo, ero la piccola del gruppo e mi usavano  come tuttofare, ma mi è servito per crescere, per cambiare di mentalità, a 14 anni sei fragile e loro mi hanno fatto cambiare in meglio e la mia testa era matta ma loro mi hanno preso in disparte e dato consigli che mi sono serviti a cambiare subito rotta e migliorare negli anni successivi.

Francesca alla prima stagione col Firenze.


Grazie per questo ritratto del Firenze di quegli anni di inestimabile valore, ogni volta che ve ne sento parlare con questa umiltà e questo trasporto mi commuovo, e penso che si commuoverà anche ogni tifoso, specialmente chi ha avuto la fortuna di conoscervi e "vivervi" all'epoca, qualcuna di queste fortunate persone è tra i miei lettori e mi fa sempre molto piacere tornare a quegli anni.
In quel periodo arriva per te anche la chiamata nella nazionale under 17; cosa hai provato, e che ricordi hai in maglia azzurra? e quali erano le tue compagne di avventura che poi sono diventate giocatrici famose?

E' stata una cosa inaspettata, come ti ripeto ho iniziato col "botto"  un anno dopo aver cominciato nel femminile mi chiama subito la nazionale under 17 pur avendo io solo 15 anni, è stata un'emozione pazzesca, la nazionale è il sogno di qualsiasi giocatrice e fino a quel momento l'avevo sempre vista come un qualcosa di irraggiungibile.
Ricordo che Luciano Bagni, il presidente dell'epoca, chiamò me e Ilaria Leoni per informarci della convocazione; Ilaria aveva già fatto alcune presenze in under 17 ma per me era la prima volta. Ci chiamò nella stanzina e ci dette in mano un foglio, quello era il fax della federazione e io non ci credevo, ricordo la gioia condivisa in famiglia, la prima volta è stata veramente bella, ai tempi non c'era la tecnologia e di tracce ne sono rimaste poche, non ho foto o altro ma fortunatamente i ricordi li ho nel cuore e nella mente, e nell'armadio di casa ho le divise da gioco e degli allenamenti, e quando a volte mi capita di fare il cambio vestiti me le ritrovo tra le mani, e ogni volta parte l'emozione. 
In quell'under 17 al mio fianco mi ricordo Cristiana Girelli, già allora impressionante, il capitano Sara Gama, già adulta nella testa, aveva una marcia in più, lo vedevi già nei ritiri, e lo ha dimostrato negli anni.
L'obiettivo della nazionale è stato per me un sogno e sono felice di aver avuto la possibilità di vestire i colori azzurri.

Cose che si possono trovare nell'armadio di Francesca..


E' sempre un'emozione, dopo anche Ilaria Borghesi la scorsa settimana, sentire le storie di persone che hanno indossato l'azzurro, la nazionale è la nazionale, l'inno che risuona, tutti i cuori che battono all'unisono per voi...immagino te e  Ilaria ragazzine con Luciano Bagni che vi consegna quel foglio, è un'immagine bellissima.

So che giocavi come difensore; come sei arrivata a ricoprire questo ruolo? ne avevi provati altri prima?

Sono nata centrocampista coi maschi, nel femminile il primo periodo in primavera centrocampista anche li però poi sono arretrata e tutta la mia carriera è stata da difensore centrale e terzino sia destro che sinistro, anche se comunque una delle mie doti era quella di sapermi adattare, avevo questa capacità.

Poi passi al Giglio calcio, in serie D, e ci passi 4 stagioni; detto così sembra un brusco salto all'indietro, ma come sempre c'è una storia da conoscere, il tuo primo ostacolo sul cammino, il primo sgambetto della vita; cosa ci puoi raccontare di tutto questo, e di una squadra che comunque per te rappresenta un'importante fetta della tua vita calcistica?

Si, se il mio inizio di carriera nel femminile è stato positivo con Firenze e nazionale poi questo percorso è stato bruscamente interrotto nel 2007, anno in cui ho avuto purtroppo un grosso infortunio che mi ha tenuto fuori dai campi per 7 mesi, una frattura a un piede che non riusciva a guarire, e se ripenso alla mia carriera credo che questo momento sia stato decisivo, uno stop importante nel momento di spiccare il volo. Quello è stato un periodo difficile, in quanto venivo dall'entusiasmo, stavo crescendo, allenandomi con giocatrici forti e soprattutto mi stavo divertendo, a livello di squadra avevo già vinto alcuni trofei come lo scudetto primavera del 2005 contro il Torino, e quell'anno  nel Torino giocava una certa Barbara Bonansea; era tutto bellissimo, fin troppo. 

La vittoria dello scudetto primavera contro il Torino.



Purtroppo fermarsi 7 mesi è stato difficile, il primo infortunio è devastante anche a livello psicologico perchè non ero una calciatrice matura che ha l'esperienza per affrontare mentalmente la cosa, da ragazzina spensierata (che comunque ero sempre tale, ragazzina)  è stato un brusco risveglio ; durante la riabilitazione fui seguita dal medico della nazionale, il dottor Gatteschi, e dal suo fisioterapista e mi ricordo che insieme a me a fare riabilitazione c'erano due calciatrici come Carolina Pini, che come sappiamo ha giocato anche nel Bayern Monaco,  e Michela Cupido, che allora era uno dei portieri più forti d'Italia, che ha giocato nella Torres dei miracoli; e quindi anche in questo frangente ho avuto la fortuna di avere delle calciatrici esperte che mi hanno aiutato tanto, io a volte affrontavo le sedute riabilitative con troppa leggerezza e invece loro  mi hanno fatto capire l'importanza di avere la giusta mentalità per affrontare un infortunio, se ripenso alla mia carriera quell'incidente è stato decisivo però quando si dice "niente succede per caso" grazie a Carolina e Michela ho avuto modo di capire come si può affrontare mentalmente al meglio un infortunio grave, che è un qualcosa con cui quasi tutte le calciatrici si sono trovate a fare i conti.
Proprio nel 2007 nacque quindi questa società parallela al Firenze, il Giglio calcio, eravamo sempre noi ma appunto società parallela, e questo è stato importante per ripartire da zero, col giglio vincemmo subito il campionato di serie D e poi approdammo in C, e l'ultimo anno in C è stato memorabile in quanto abbiamo lottato con la Scalese fino all'ultimo per la promozione  in una stagione veramente competitiva, e abbiamo creato un bellissimo gruppo di ragazze, facevamo tante cene, feste, uscite post partita, e i risultati del campo hanno rispecchiato questa alchimia stupenda, ricordo con tanto piacere quei legami di amicizia. Era una realtà curiosa, stesso campo di allenamento, stesse maglie solamente rosse e col giglio impresso, alla fine a livello di ambiente non è cambiato nulla, per me è stato importante rimanere a San Marcellino, per me era casa, e certamente affrontare categorie inferiori è diverso, ma comunque per me è stato importante ripartire da livelli più bassi per ritrovare condizione e concentrazione per tornare poi in alto.



Francesca all'ultima stagione nel Giglio calcio.


Dopo questa importantissima parentesi  per te arriva la già nominata Scalese,  società gloriosa anche se ora purtroppo solo un ricordo, allenata tra gli altri anche da Renzo Ulivieri; cosa ci puoi raccontare del tuo periodo a San Miniato, dove tra l'altro hai vinto anche un campionato di A2? ci racconti questo trionfo? e chi era al tuo fianco in quell'occasione?

Dopo il grande duello con la Scalese, che vinse e passò in A2, ebbi una proposta proprio dalle antiche rivali, e accettai di lasciare San Marcellino per la prima volta dopo 7 anni. Avevo bisogno di stimoli nuovi e di rimettermi in gioco in categorie superiori, e furono due stagioni di grandi soddisfazioni, il primo anno fu un campionato positivo per essere una neopromossa, arrivando nella prima metà della classifica, e il secondo anno abbiamo vinto il campionato di A2 con la promozione in A.

In Bianco Scalese

Venendo da una realtà molto importante come quella di Firenze ritrovarmi alla Scalese all'inizio non fu facile in quanto era una società piccola e nata da poco, però questi due anni a San Miniato mi hanno fatto capire che a volte se c'è unità di gruppo e di intenti e la voglia di far bene alla fine parla il campo e le differenze si azzerano, conta la fame di vittorie e non il blasone, e questo è ciò che mi ha insegnato la Scalese. 
Sono stati  anni importanti, perchè anche qui ho avuto al mio fianco persone che si sono rivelate importanti punti di riferimento, ho infatti avuto la fortuna di giocare con Chiara Cacciatori , che era un esempio per tutte noi, una calciatrice agli ultimi anni di carriera che aveva giocato ad alti livelli, di solito una veterana non deve dimostrare niente a delle ragazzine ma invece lei era un capitano vero, una che non parlava tanto ma quando lo faceva  ti smuoveva un mondo, era un esempio perchè era la prima ad arrivare al campo in anticipo, la trovavi già li a palleggiare e provare passaggi, la potevi soltanto ammirare, una leader silenziosa e un esempio per tutte noi. Ti voglio raccontare un aneddoto su di lei; dopo una partita dove la "Caccia" fu veramente la migliore in campo le mandai un messaggio per complimentarmi con lei, e mi rispose "Guarda anche tu hai tante qualità e hai un bel futuro davanti, e ricorda; quando innervosisci l'avversario sei già a metà dell'opera" e queste parole mi colpirono, mi fecero capire che spesso non conta la giocata da fenomeno o la finezza, basta la semplicità, il carisma e l'altruismo, e non importa sempre parlare per insegnare qualcosa e incutere rispetto.
Un'altra giocatrice importante di quel periodo è stata per me Antonella Frediani detta "Tone" anche lei era un portiere molto forte e dal passato importante, anche lei era a fine carriera e ricordo che si arrabbiava con me quando avevo i miei momenti di "assenza" lei mi prendeva e mi stritolava per farmi resettare, pretendeva tantissimo in quanto vedeva in me qualità importanti, mi dava tanti consigli, una compagna dalla quale imparare, da persone come Antonella capisci che per restare in alto devi avere la mentalità oltre alla tecnica, la testa conta più dei piedi. 
Nella Scalese una mia compagna di reparto era Zoi Giatras, e con lei ci completavamo in campo, mi sono trovata bene  al suo fianco e sono felice che abbia continuato a togliersi le sue soddisfazioni perchè so quanto il calcio è importante per lei, per me  è stata una compagna importante, da lei ho imparato molte cose, c'era tanto scambio e confronto, e credo che siamo state importanti l'una per l'altra. Giocare con Zoi era una sicurezza perchè se venivo saltata io dietro c'era lei, e dico con orgoglio che per un attaccante non era facile superare due difensori centrali come noi. 
Un anno con noi c'è stata anche Serena Ceci, un'altra che sta avendo un bel presente, ho sempre pensato che Serena sia una giocatrice davvero forte e sono contenta che si sia tolta delle soddisfazioni, perchè le qualità erano tante davvero e lei sta dando continuità ad esse.


Ancora momenti con la Scalese.


Sono sempre felicissimo quando si parla della Scalese, una società comunque importantissima nella storia recente del calcio femminile toscano. Grazie anche per tutte coloro che hai ricordato, specialmente per Zoi Giatras, con lei ho avuto una collaborazione veramente bellissima per questo progetto che ricorderò sempre con piacere, una di quelle persone di cui ti dispiace non avere più motivi per averci a che fare e non poterla così conoscere  meglio.

Dopo per te c'è un secondo tempo a Firenze, anno 2013/2014, penultimo di vita della società di Andrea Guagni e allenata da Sauro Fattori, con un'annata da protagonista con ben 18 presenze; forse il tuo momento di più alto livello, ma che resterà l'ultima tua grande stagione calcistica, vuoi spiegarcene i motivi?

Dopo aver ottenuto la serie A con la Scalese decido di tornare a casa dove tutto ebbe inizio, in quel Firenze che è sempre stata casa mia. Fu una scelta di cuore.
Eravamo allenate da Sauro Fattori, e ritrovai alcune compagne con cui avevo iniziato il primo ciclo, come Giulia Orlandi nel frattempo diventata capitano, Alia Guagni e Ilaria Leoni, e poi ex compagne di primavera come Eleonora Binazzi e  Simona Parrini. 
Fu un anno difficile, le prime 6 partite si persero tutte e non riuscivamo a uscire da questo impasse tremendo, ma poi piano piano abbiamo cominciato a vincere e risalire, terminando ottave in un campionato a 16 squadre infernale che prevedeva ben 6 retrocessioni, in quanto dall'anno dopo passò a 14.

Qui e nelle foto seguenti, Francesca nel suo secondo tempo Fiorentino.

Fu un anno importante, avevamo avversarie importanti come il Brescia di Sabatino, Girelli, Bonansea e Rosucci, il Bardolino Verona di Melania Gabbiadini, Il Tavagnacco di Brumana e Camporese...fu un anno in cui fu fondamentale il gruppo, si crearono buoni rapporti di amicizia vissuti anche oltre il terreno di gioco.




Nell'ultima parte della stagione cominciai ad avere delle difficoltà perchè nel 2014 iniziai a lavorare e il calcio ad alti livelli richiede in tutto e per tutto l'impegno di un lavoro , anche se allora come ora non è riconosciuta come professione, ma almeno inizialmente riuscii a conciliare calcio e lavoro. Però a fine stagione ci furono scelte e cambiamenti drastici, in quanto mi resi conto che dovevo fare una scelta di vita e cominciai a capire che non potevo più portare avanti entrambe le cose, e mi sono ritrovata a dover mettere in discussione tutta la mia vita. Anche mia mamma mi metteva la pulce nell'orecchio facendomi capire che non ce l'avrei fatta a continuare a giocare ad alti livelli lavorando, la sola idea di lasciare mi faceva stare male perchè tutta la mia vita  è stata sul rettangolo verde ed è stata la mia priorità dopo gli studi, ho fatto sacrifici e rinunce e tutto per il calcio, e non accettavo l'idea di smettere...però a fine stagione decisi a malincuore di interrompere col Firenze.





Quando la mia decisione fu nota, ci fu subito una chiamata del Castelfranco che militava in A2, io non volevo smettere e pensai che scendendo di una categoria ce l'avrei fatta, iniziai la mia esperienza a Castelfranco a settembre ma dopo solo due mesi una mattina mi svegliai e mi dissi che dovevo smettere di giocare a calcio, mi era diventato troppo pesante giocare e lavorare, non ce la facevo più per il tempo e a livello mentale, e decisi di smettere del tutto.



Due immagini della breve parentesi a Castelfranco.


Io come carattere, essendo Toro come segno zodiacale, prima di prendere una decisione ci devo sempre sbattere il capo, e a livello personale lo accettai perchè comunque avevo fatto tutto il possibile, dovevo arrivare al punto in cui dovevo rendermi conto di non farcela, prima avevo ancora dei dubbi però ho preferito rendermi pienamente conto dell'impossibilità della cosa, e così ho accettato "serenamente" di concludere la carriera. Questa cosa che è successa a me è successa a tante altre mie compagne e questo è un grande dispiacere per tutte noi, perchè comunque la passione non è mai venuta meno, e vedere interrompere il nostro cammino in quanto il calcio non è riconosciuto come professione è drammatico, ma di qualcosa si deve pure campare e quando sei con le spalle al muro e devi fare una scelta quella vira sul lavoro, poco da fare. 
Per questo le ragazze che oggi si affacciano a questo mondo devono avere la possibilità di fare ciò che amano e avere anche un riconoscimento economico e le giuste tutele, anche se la cosa più bella del calcio femminile è che emergono i valori più puri e sani di uno sport, e noi che lo abbiamo praticato in modo disinteressato e con grandi sacrifici per coltivare questa nostra passione, lo facevamo per stare insieme, per divertirci, per noi il calcio è stato veramente lealtà, altruismo e tante altre cose belle, e voglio dire a tutti i lettori che magari si stanno affacciando solo ora a conoscere questo mondo che in realtà voi oggi vedete solo la luce di un tunnel buio che è durato anni e anni, un tunnel buio in cui noi ragazze ci siamo allenate sopo ore di studio e lavoro, abbiamo affrontato trasferte improponibili alzandoci anche alle 5 del mattino, e vedevi ragazze studiare in pullman; quando ero alla Scalese ci allenavamo alle 9 di sera, da Firenze andavo a San Miniato, tornavo a casa a mezzanotte e per l'appunto il secondo anno di Scalese coincideva con l'anno della mia laurea, mi sono tra l'altro laureata ad aprile nel pieno dello stress fisico e mentale per il finale di stagione, era proprio l'anno in cui abbiamo vinto il campionato, dovevo stare concentrata sulla tesi e sul calcio, tornata a casa a mezzanotte lavoravo sulla tesi fino alle 3 di notte, poi dormivo fino alle 7, la mattina e poi ripartivo, università, studio, allenamenti e ancora tesi; sono cose che fai solo se hai una passione che vuoi portare avanti, altrimenti è impossibile. 
Poi ricordo i campi impossibili per gli allenamenti, siamo la generazione cresciuta nei campacci di terra, ci siamo autofinanziate le trasferte, tutta una serie di cose che nessuno o quasi conosce, ma noi lo facevamo sempre sorridenti e contente.

Questa testimonianza mi lascia attonito e disarmato, ogni volta penso di aver capito tutto dei vostri sacrifici e delle vostre lotte e invece non ho capito ancora un bel niente. Non riesco nemmeno a pensare di reggere un tour de force come quello che hai sostenuto tu, ma io non sono capace di vivere di grandi passioni come te e tante altre ragazze delle quali ho ascoltato le storie. Spero davvero che il tuo augurio di un domani con calciatrici professioniste vengo ascoltato, intanto hanno preso altri due anni di tempo (ma perchè?) e ho paura sarà la solita promessa delle istituzioni, felice poi di essere smentito ma le tonnellate di discriminazione gettate in tutti questi decenni sul movimento calcio femminile quantomeno giustificano il mio scetticismo in merito.

Cambiando registro, domanda per tutti i difensori che intervisto; quali attaccanti erano più rognose da marcare? immagino tu ne abbia trovate diverse delle migliori sulla tua strada, quali ti hanno fatta più dannare in assoluto?

Nella mia carriera ci sono state attaccanti forti da affrontare, come Girelli, Sabatino, Bonansea, Brumana e tante altre, però mi ricordo di una partita giocata a Tavagnacco nel mio ultimo anno, il Mister mi mise terzino e io dovevo marcare Camporese, e per me è stata una partita da incubo, non ho visto palla e mi vedevo sfrecciare lei velocissima, non riuscivo mai ad anticiparla e contrastarla, fu un incubo per me la Camporese, una giocatrice poco ricordata ma davvero molto forte; ricordo che nel viaggio di ritorno il pullman rianalizzai la giornata nera che avevo appena avuto e mi dissi "ma dove vado?" tanto mi aveva provato; poi un altro scontro fu con la Gabbiadini, anche lei una delle attaccanti più forti a livello italiano, in questa partita contro il Bardolino giocai centrale in una linea a 3, e prima della partita mi dissi che la Gabbiadini non doveva segnare, e anche se perdemmo Melania non segnò, magari è stato un caso ma al novantesimo fui felice a livello personale, la squadra aveva perso ma la Gabbiadini non aveva segnato come mi ero proposta. La Sabatino, anche, è difficilissima da marcare.

A quanto pare la Sabatino la vedremo a Firenze dalla prossima stagione, era meglio per te averla da compagna!
Dal 2015 ti sei ritirata completamente dal mondo del calcio, oppure hai praticato Futsal o altre discipline assimilabili?

In realtà pensavo, smettendo, di avere chiuso definitivamente col calcio, la sentivo una cosa chiusa e l'avevo accettato, mi chiamarono società di categorie inferiori meno impegnative a livello di allenamenti ma non volevo, mi piaceva aver terminato in categorie alte, aver chiuso in bellezza.
Avevo smesso a novembre 2014, nel marzo del 2015 mio fratello mi chiamò e mi disse che una sua collega stava cercando giocatrici per una squadra di calcetto, io sulle prime nicchiai perchè per me calcio e calcetto sono due cose completamente diverse e proprio non avevo considerato la cosa, ma decisi di provare, era un impegno assai minore, solo due sere la settimana, ma appena toccai il primo pallone rividi subito la bambina che calciava il pallone contro il muro, e subito mi sentii a mio agio, come aver ripreso un discorso interrotto, e per due anni giocai con il Quinto alto, società di Sesto fiorentino, per divertimento, poi nell'agosto del  2018 mi contattò una società di Futsal di A2, il Firenze Calcio a 5, la cosa mi incuriosiva, volevo  mettermi in gioco in una disciplina completamente nuova, mi sentivo completamente persa, movimenti diversi dimensione diverse, e non mi ci ritrovavo sulle prime, il primo mese non mi raccapezzavo ma poi iniziai a prendere confidenza, ma non saprò mai cosa avrei potuto fare nel futsal, perchè a ottobre, il 17 ottobre del 2018, accadde...


Francesca e il futsal; nella prima foto col Quinto alto (Midland) nella seconda col Firenze calcio a 5. 


Si, arriviamo al punto più delicato della nostra intervista, quel maledetto giorno di ottobre in cui ti succede una cosa assurda, inopinata, impensabile per un'atleta come te; il tuo cuore si dimentica di battere. Non mi permetto di farti domande dirette in merito, preferisco lasciar parlare te.

Esatto, ecco l'evento che mi ha cambiato la vita, ho avuto un blocco cardiaco di 25 secondi, idoneità sportiva sospesa e divieto di sport di contatto. 
Che dirti? è stato come premere on/off...queste cose le puoi raccontare ma le puoi comprendere solo vivendole, tutto quello che è accaduto quando il mio cuore ha ripreso a battere lo so soltanto io. Ho avuto questo blocco e la mia "fortuna" è stata quella di non avere danni a livello cerebrale e motorio; ho perso conoscenza, ho battuto la testa e ho avuto un trauma cranico; io lavoro come fisioterapista nel reparto di riabilitazione neurologica e in questo ambiente vedo di tutto e conosco bene i danni derivati da un trauma simile, sapevo benissimo che tutto era partito dal cuore però il mio pensiero, quando ho ripreso conoscenza, è stato subito quello di non avere danni motori; ricordo che chiesi alla persona vicino a me di farsi stringere le mani, volevo essere sicura di poterlo ancora fare, chiedevo se gliele stessi stringendo con la stessa forza di sempre, proprio per la paura di aver avuto un danno motorio. Lei mi disse che andava tutto bene e li mi risollevai, poi al pronto soccorso mi dissero che dovevano fare la tac al cervello e fino a che non ho avuto i risultati ho provato molta apprensione, proprio perchè da persona che lavora nel settore conoscevo bene tutte le problematiche, ma fortunatamente non ho avuto nessun danno. Per quanto riguarda l'aspetto cardiaco, io avevo impiantato da tempo un dispositivo di registrazione accanto allo sterno che si chiama "Loop recorder cardiaco" in quanto già da qualche anno ero soggetta a svenimenti strani e improvvisi, e appunto mi hanno inserito questo dispositivo che ricorda una chiavetta USB per monitorare l'attività cardiaca, poi ovviamente dopo la crisi ho avuto bisogno di ben altro, ma da questo Loop recorder hanno visto la durata della pausa; e quando ero al pronto soccorso il cardiologo stava interrogando questo registratore, ho impressa questa immagine del dottore che, leggendo il tracciato, pian piano sgrana gli occhi e mi dice che appunto avevo avuto questo blocco di 25 secondi e che occorreva un peacemaker, alla mia età sarebbe stato un cambiamento importante però era l'unica soluzione, e mi informò che l'idoneità sportiva era da considerarsi al momento assolutamente sospesa. 


L'ora più buia di Francesca; in ospedale post trauma cranico e dopo l'intervento di inserimento del peacemaker.


Di questa esperienza posso dirti di tutto e di più; da un punto di vista posso dirti di essere stata molto fortunata, perchè comunque il mio cuore da fermo è tornato a battere, e questa è stata una vittoria, come il non avere avuto nessun danno a livello nervoso e motorio; e poi la consapevolezza, da dopo che è successa questa cosa, ho cambiato modo di vedere le cose, ho iniziato a viverle in modo diverso, questo perchè quando vivi in prima persona certe cose e ti rendi conto di avere la possibilità di vivere una seconda vita, perchè questo è, il mio cuore si è fermato e "resettato" e il dal 17 ottobre di 2 anni fa sono una Francesca 2.0, e con queste esperienze ti rendi conto che veramente abbiamo una vita, sola, e quando rischi di perderla dai veramente valore a delle cose a cui prima non le davi, togli tante cose superficiali, impari a ignorare le sciocchezze e capisci che non vale la pena lamentarsi, è meglio godersi il "Qui e ora" che non sai mai cosa può capitarti. 

E qui sono veramente d'accordo con te, e ti abbraccio "virtualmente" per aver avuto la forza di ricordare questo momento tremendo per me e il mio blog, grazie Francesca.

Ma c'è un seguito, perchè questa è una storia a lieto fine; meno di un anno dopo, con una determinazione non comune,  hai ottenuto l'idoneità agli sport che non prevedono contatto, so che dispiace non poter più praticare calcio ma dopo quello che hai avuto penso che una riottenere l'idoneità valga come tre mondiali conquistati; cosa hai provato?

Il giorno che mi sono sentita male ovviamente era scontato che mi dicessero della sospensione dell'idoneità sportiva, ma sulle prime le cose importanti sono altre, anche solo il fatto di essere sopravvissuta. Ma già dopo qualche giorno inizi a pensare a quella che era la vecchia vita, quella prima dell'incidente, e la mia vita era il calcio,per il quale ho fatto sacrifici che tornando indietro  rifarei da capo. Per me è stata quindi dura vedersi interrompere la mia carriera calcistica, ora ho proprio un divieto, prima mi ero imposta io di non giocare, ora me lo hanno imposto i medici, sia il calcio che qualsiasi altro sport da contatto fisico, e dover accettare questo divieto pur stando bene, perchè io sto bene, è difficile da affrontare, e mi dispiace molto. Per scelta tocco meno possibile un pallone, quando mi capita mi brillano gli occhi e mi sento felice, ma cerco di farlo il meno possibile perchè la nostalgia mi travolgerebbe, me lo concedo pochissimo, provo una stilla di gioia e poi rinuncio.
I primi mesi, dopo aver inserito il peacemaker non potevo fare niente, poi il cardiologo mi disse che avrei potuto fare sport purchè non a contatto fisico, a maggio feci le visite periodiche che devo fare per monitorare la mia situazione e vissi la cosa in un grande stato di ansia, a me interessava per tornare a fare sport perchè per me lo sport è uno stile di vita, e me la concessero anche se solo per sei mesi, ma fu già un inizio e provai una felicità enorme, non è stata solo un'idoneità sportiva ma un'idoneità alla vita,  io ci sono ancora e posso continuare a fare sport, uno sport tutto nuovo; per cui dal maggio 2019 ho cominciato ad avvicinarmi al mondo del podismo iscrivendomi al Club sportivo Firenze, e da un anno circa corro, e ti dico la verità è un mondo completamente nuovo, per me abituata agli sport collettivi uno sport individuale è una bella novità, un cambiamento difficile. Poi nel calcio hai l'obiettivo della partita settimanale, nel podismo tutto è più a lungo termine, gli allenamenti li devi affrontare in modo diverso, ma mi piace molto e per me correre è libertà, mettersi alla prova e superare se stessi, è passione e sacrificio; alcuni valori che avevo nel calcio li sto ritrovando nel podismo, sono ancora all'inizio del mio cammino ma non ho fretta, per me lo sport deve essere fatto in modo serio ma rimanendo pur sempre un  divertimento; spero in futuro di togliermi delle soddisfazioni ma sono felice anche solo di aver intrapreso questa nuova avventura, perchè nella vita niente succede per caso, senza l'incidente ora non avrei questo nuovo grande amore, che spero durerà tantissimo.




La splendida nuova vita di Francesca.


Beh, si, spero davvero per te, il podismo va per categorie ed è uno sport per tutte le età, e hai tantissimi anni di competizioni che ti attendono.
 Ultima domanda; che messaggio vuoi lanciare a tutte e tutti gli sportivi che si trovano a vivere il tuo dramma? Come se ne esce, soprattutto a livello mentale, quando tutto sembra finito?

Come se ne esce? con la determinazione che una persona si costruisce negli anni, e questa determinazione me l'ha data il calcio, in quanto mi ha fatto capire che nella vita se vuoi veramente ottenere qualcosa devi essere determinato ad affrontare gli ostacoli e  se cadi a rialzarti senza lamentarti, dovevo fare in modo di ripartire, non dovevo assolutamente fermarmi a quel 17 ottobre. 
Voglio dirvi questo; quando succede qualcosa che ci destabilizza la vita ti da un cambiamento interiore che nemmeno immagini, e proprio in questo mutamento scopriamo la nostra forza, una forza che fino a che tutto ci va bene non sappiamo nemmeno di avere, ma che ti fa affrontare tutto con uno spirito determinato e positivo, e io ho avuto una rinascita vera e propria, mi paragono a un'araba fenice rinata dalle proprie ceneri, per 25 secondi sono stata in un'altra dimensione e poi sono tornata al mondo, mi sono sentita male il 17 ottobre 2018 ed esattamente un anno dopo, nello stesso giorno, mi sono tatuata sul costato un'araba fenice con sotto scritto un motto giapponese che significa "Cadi sette volte e rialzati otto" questa è la frase che ho fatto mia da quel maledetto giorno ed è un messaggio che voglio dare a tutti, per quanti ostacoli possono esserci nella tua vita tu devi sempre avere un motivo in più per reagire.
Ognuno di noi a volte dovrebbe seriamente riflettere su quanto è fortunato, e cercare di godersi la vita giorno dopo giorno, di smettere di lamentarsi e di perdersi nella superficialità e nelle cose poco importanti, la vita è una sola e va vissuta al massimo facendo quello che ci rende felici. Io auguro a tutti la felicità, ma veramente questo è un bene prezioso, non buttiamo via nemmeno un momento, la vita è adesso.

Francesca ci saluta col suo bellissimo tatuaggio.


Il consiglio di Seneca al suo allievo Lucilio "Vivi ogni giorno come una vita intera" rivive in queste tue splendide parole di commiato, ti confesso che una lacrimuccia è caduta sulla tastiera del mio pc, tu non puoi vederla ma ha colpito la lettera C, quella di coraggio, ma poteva colpire anche la D di determinazione, la S di speranza, quella che regali a chiunque possa leggere queste righe, o anche solo la F di forza o di Francesca, che in fin dei conti sono sinonimi. Con questa tua testimonianza prenderai per mano delle persone, gente che non sai e non conosci ma alle quali migliorerai un po' la vita, se nei momenti tremendi che prima o poi capitano a tutti noi qualcuno si ricorderà di Francesca Baldini, la calciatrice, la podista e l'araba fenice, saranno loro a pensare, come tu da ragazzina verso coloro che ti presero per mano, che niente accade per caso. Ora sei tu la veterana che guida, che prende per mano e da un senso al dolore e alla fatica dello sport e del vivere, oltre che un'araba fenice sei anche un raggio di sole, quel sole verso cui tutte le fenici volano non appena rinascono.








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