mercoledì 29 luglio 2020

"SOGNI DI CARBONE" DI E CON COSTANZA MASCILLI MIGLIORINI, PALCO DA CALCIO.



Palco da calcio, la rassegna ideata da Costanza Mascilli Migliorini che ho già presentato su questo blog, è una sorpresa continua, una di quelle cose nate con amore e per amore delle quali a un certo punto pensi di aver capito tutto e che invece sono una continua fonte di sorprese. Questo "Sogni di carbone" era in un certo senso lo spettacolo che più attendevo tra gli otto presentati nella rassegna, perché è quello di Costanza, scritto da lei, direttamente dal suo cuore e dalla sua anima.


Le meravigliose foto che vedrete, che ritraggono tutte Costanza in vari momenti dello spettacolo, sono di Andrea Lisa Papini (Andrea Lisa photography) sempre per sua gentilissima concessione.



Quello in cui lei da sola tiene il palco, a parte un breve intervento di Daniele Locchi, per tutta la durata di un recital che non è un semplice monologo, in quanto è arricchito da scenografie minimali ma efficacissime, dove Costanza non solo recita ma letteralmente interagisce con i presenti che le siedono vicini, un'esperienza sensoriale dove il teatro lo abbiamo letteralmente toccato con mano, bello quando l'arte ci viene incontro, quando ci invita alla sua tavola. 



Certo, il tema non è di quelli facili da affrontare e da portare in scena, è di quelli che fanno paura sia a chi recita che a chi assiste; la violenza sulle donne, quella più barbara e crudele, quella perpetrata alla più indifesa delle indifese, una bambina di nove anni, ma non è tanto la storia di una violenza, non ne sappiamo (per fortuna) i dettagli, ma sulle conseguenze di una violenza, l'ombra di essa che grava su tutta una vita fino all'età adulta, una felicità interrotta, spezzata. E il carbone del titolo simboleggia quello che rimane dopo un incendio, quello che rimane dopo la devastazione, perché, ci dice Costanza in una delle frasi simbolo del suo testo; “No, la violenza non si presenta. Lei non ti stringe la mano, ti piomba addosso. Non ti dirà il suo nome, ma tu potrai dimenticare il tuo" In questo spettacolo niente è stato lasciato al caso, già quando entri senti che nulla sarà consueto. 



Ero con mia moglie Eleonora, siamo entrati e le sedie erano quasi a ridosso del palco, e tutto intorno a noi, sparsi in modo (apparentemente) casuale, oggetti rassicuranti, di quelli che si possono trovare anche nella cameretta di una bambina; palline bianche, stoviglie di plastica colorate, giochi, un orsacchiotto. Ma davanti a noi i pezzi di carbone, neri come il buio, quel buio che la ragazza senza nome teme, da quando un uomo nero ha cosparso di tenebra la sua vita.




 E' difficile parlare di questo spettacolo in quanto non voglio assolutamente rivelare tutte le finezze testuali di Costanza, tutte le sue metafore, le sfumature, sono quelle cose che si devono vedere, che raccontarle nel dettaglio è come lasciare aperto un barattolo di caffè, si perde l'aroma; ci sono frasi bellissime esaltate da musiche ora dolci ora strazianti, da luci ora fredde ora calde (bella davvero anche la regia di Daniele Lamuraglia, di grande impatto visivo, come i film muti virati in seppia o in blu) tutti i contrasti di un'anima che, attenzione, non ha mai smesso di lottare, e che attraverso le consapevolezze dell'età adulta inizia a credere in se stessa, ad acquistare autostima, ad affacciarsi oltre la leopardiana siepe. 



 Costanza è assolutamente poliedrica, ci parla con voce da bambina, di adolescente arrabbiata, cresce letteralmente sul palco, la sentiamo e vediamo diventare donna, sempre se questo può essere definito crescere, con quel mostro nero nell'armadio che forse non se ne andrà mai. 




L'altissimo tasso emotivo raggiunge picchi di commozione autentica quando Costanza, con una tragicità solenne da teatro greco, raccoglie quel carbone, lo pone su un piatto e poi passa tra noi per distribuircelo, un pezzo ciascuno, un frammento del suo dolore. Poi conclude con un breve e folgorante monologo finale la cui frase rivelatrice, forse il cuore di quest'opera, è la bellissima "L'anima è una bimba scalza che corre bendata sugli spigoli della vita" Non siamo forse così tutti noi, quando smettiamo di credere ai babau sotto al letto e affrontiamo quelli reali, dal professore che non ci capisce all'amico che ci tradisce fino al parente che ci accoltella alle spalle o al principale che abusa del suo potere? non siamo forse noi tutte bimbe scalze, anche senza aver subito una violenza indicibile? ecco, pensate allora a cosa deve essere perdere tutte le illusioni e le certezze della vita con in più il fardello di un dolore bruciante che continua a turbarti le notti, e allora forse potremo intuire (solo intuire, capire potrà farlo solo chi ci è passata e passato) cosa sia crescere con un mostro sopravvissuto nell'armadio. 



Ammetto che a fine recita non ho saputo cosa dire a Costanza , sono andato a complimentarmi con lei ma non avevo la forza di parlare che mi si sarebbe rotta la voce, ma lei credo abbia capito. Certo, dal canto mio è un vanto poter assistere a uno spettacolo su questo tema assieme a mia moglie, sono un uomo che rispetta le donne e non che questo mi dia una qualche patente speciale, faccio solo il minimo ma comunque vado orgoglioso di poter guardare Eleonora e tutte le altre donne senza vergogna; ma quel pezzo di carbone che ho preso dal piatto me lo sono tenuto, lo metto nel mio studio, come un monito; sono un uomo, e come disse Chesterton "Un uomo nasce con tutti i diavoli nel cuore" E la violenza si esprime in tanti modi, nessuno,anche la persona più equilibrata, può dire di esserne immune, e questo pezzo di carbone simboleggia ciò che resterebbe del sogno che andrei a bruciare con la mia violenza. Il carbone lo conosco bene, era quello che restava dei boschi dove sono cresciuto dopo che un incendio li colpiva, dicono che dopo un rogo non resta niente ma non è vero, resta cenere e carbone, e un odore acre che solo la pioggia cancella. E' quel carbone che non diventerà mai diamante, che non rifletterà mai alcuna luce, un ricordo di un nero perfetto, che non sbiadisce.


Concludo con una parentesi giocosa, ci vuole un sorriso, anche perché, dopo lo spettacolo, è stata la stessa Costanza a raccogliere tra gli oggetti di scena un pallone, simbolo di felicità, e a proporre due tiri a calcetto, e in un attimo spettatori di tutte le età si sono trasformati in calciatrici e calciatori per un'oretta, io come al solito vado a fare la vittima sacrificale in porta, a un certo punto (ma mi stavano già impallinando come un tordo già tutte quante, perfino Eleonora mi ha segnato, ma solo alla fine quando ero stanco...) Costanza arriva con una bibita in mano e con una nonchalance da campionessa prima mi ha piazzato un chirurgico destro rasoterra nell'angolino, poi in un uno contro uno mi ha messo a sedere due volte e mi ha segnato facendomi passare il pallone tra le gambe ( e le perfide sue compagne e amiche hanno riso...vi ho viste eh!) e poi con un sinistro a girare perfetto mi ha infilato anche sul palo alla mia destra. Ma il quarto tiro glielo ho parato, sembra incredibile ma è così. Tutto questo per dirvi che anche con il pallone tra i piedi Costanza ha veramente una classe sopraffina, in una sola sera ho potuto gustare tutte le sfumature della sua arte...ma da spettatore è meglio, ve lo garantisco.


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