domenica 12 luglio 2020

LE PROTAGONISTE; SIMONA PARRINI, UN CUORE VIOLAZZURRO.

Care amiche e cari amici,

stavolta le dita sui tasti scorrono da sole, ma la mente vaga da altre parti, tra i campi di Firenze e Castelfranco, tra sabati e domeniche gelidi o pieni di sole, tra trofei festeggiati spesso solo con amici e parenti ma non per questo meno belli e importanti, a cercare di immaginare una calciatrice che per me non è più solo tale, è diventata un'amica, una di quelle persone che nella vita incontri raramente, un quadrifoglio cresciuto nel prato non tagliato di un campo d'estate.
Avrei voluto tifare Simona fin da subito, per poterne seguire tutta la carriera, purtroppo ci siamo conosciuti tardi, però comunque restano le sue storie, i suoi momenti, le squadre che le devono tanto e che lei ha onorato ogni giorno, anche se non sempre se lo sono meritato, ferendo un cuore grande e che sarà più grande che mai nonostante tutto, e che ora si racconta per noi con tutta la passione e la sensibilità che la contraddistingue. Ladies and gentleman, è con grande piacere ed emozione che vi presento Simona Parrini!!

Simona Parrini



Prima di cominciare, una precisazione; non troverete le consuete didascalie alle foto perchè Simona ha già fatto lei un lavoro splendido scegliendole e catalogandole....bella la vita del blogger con persone come Simona!!

Ciao Simona, è davvero un grande piacere averti qua su "Il viola e il rosa". Lo so che è una pura formalità, ma vuoi presentarti, giusto per i neofiti?

Sono nata a Fiesole il 10 Aprile del 1988, sono laureata in Governo e Direzione d'Impresa - Marketing e lavoro in Amministrazione, Pianificazione e Controllo a Estra Energie. Calcisticamente parlando, ho il cuore per metà viola e per metà azzurro... avendo giocato per 15 anni con la maglia viola e per 5 con quella azzurra.

Sai, è la prima cosa che mi hai detto di te, il tuo cuore multicolor che un po' abbiamo in comune, anche se tra tifoso e protagonista c'è una bella differenza, in ogni caso fu quello a colpirmi di te prima di tutto il resto.
Parlaci di Simona bambina; chi o cosa ti ha fatto innamorare del calcio, e quando hai deciso che sarebbe stato quello il tuo destino?

Ho "effettivamente" iniziato a giocare a calcio a circa 12 anni ma, in realtà, ho sempre giocato a calcio fin da piccolissima. I giardini sotto casa sono stati la mia scuola calcio, e tantissimi bambini i miei primi compagni di squadra. Mio babbo mi racconta sempre che una volta un signore su una panchina gli disse: "Tra tutti questi bambini diventeranno calciatori lui e lei"... lui era Marco Cellini.

Mitico bomber di periferia, quelli che preferisco. Comunque quel signore ci vedeva bene...
Suppongo che, come tante altre calciatrici, tu abbia iniziato in compagini maschili; ci puoi descrivere il tuo rapporto con i compagnucci dell'epoca? e ti ricordi le squadre in cui hai militato, e anche qualche aneddoto?

Prima di giocare in una vera e propria squadra ho giocato a basket per quattro anni e ho fatto danza classica per otto. Contemporaneamente ho iniziato a giocare a calcio nelle giovanili della squadra dove giocava mio fratello, nella Asd Sancat.
La settimana "tipo" era fatta di allenamenti di basket, di calcio, di danza, di lezioni di chitarra e di partite. Non scorderò mai una volta che prima del saggio di danza finale giocai un torneo di basket, e soprattutto l'apprensione di mia mamma sugli spalti perché temeva le consuete sbucciature alle ginocchia.
Ho dei ricordi bellissimi dei miei compagni di squadra, sinceramente sia loro che l'allenatore mi facevano sentire un punto di riferimento.


Poi un giorno, dopo una partita, vidi un signore che stava parlando con mio babbo vicino agli spogliatoi. Mi avvicinai e mi ricordo che mi chiese se volevo giocare in una squadra con altre bambine. Secondo mio babbo in quel momento i miei occhi iniziarono a brillare e anche se quella proposta avrebbe cambiato tutto, dato che l’impegno sarebbe stato maggiore e mi richiedeva di scegliere tra il calcio e tutto il resto... quella scelta mi sembrò la cosa più naturale che potessi fare.

A quell'età le scelte si fanno per istinto, e spesso sono le più giuste, avercela da adulti quella subitanea consapevolezza...come dici tu le cose più belle sono le più naturali, il calcio era già il tuo amore e non avevi bisogno di altro.
Per te poi inizia il lungo viaggio nel calcio femminile, nelle giovanili del Firenze. Cosa ci puoi raccontare dei tuoi primi passi in maglia viola? e quali sono state, tra le tue prime compagne di viaggio, coloro che ricordi con più piacere?

Il primo ricordo che ho in maglia viola coincide con i primi giorni in quella realtà che, in poco tempo, sarebbe diventata la mia “seconda casa”. Ho iniziato il mio viaggio nel calcio femminile con un torneo a Udine dove mi portarono con la prima squadra per convincermi a restare, anche se non sanno che io non avevo bisogno di essere convinta. Mi ricordo come se fosse oggi le sensazioni che provavo, ero “impaurita” ma allo stesso tempo convinta che sarebbe stato il posto giusto per me. E da quel primo torneo, da quel primo passo… è iniziato un lungo viaggio.



È iniziato il mio cammino nelle giovanili, percorso indispensabile per la mia formazione calcistica. Sono molto contenta di aver fatto tutti gli step necessari per arrivare in prima squadra, perché ritengo importante per un atleta non “bruciare le tappe”. Ogni esperienza che ho vissuto nelle giovanili mi ha permesso di arrivare in prima squadra al momento giusto.
Uno dei primi anni a Firenze, nella stagione 2002-2003, giocavo nelle Giovanissime e mi ricordo che vincemmo praticamente tutto (i giornali ci definirono le ragazzine “imbattibili”). Vincemmo il campionato regionale di categoria, imbattute e non subendo nemmeno un goal, e la Coppa Tricolore di Reggio Emilia. Questo torneo internazionale era uno dei più prestigiosi in Italia, quell’anno vide la partecipazione di 21 società straniere e 27 italiane. Vincemmo contro formazioni olandesi e danesi senza subire nemmeno un goal e in finale un goal di Daria Nannelli ci regalò la Coppa.
Un’altra stagione giocavamo a calcio a 7 e mi ricordo quanto erano sentiti i derby col Prato… spesso ci giocavamo il primato in classifica con loro.



Ogni compagna con la quale ho condiviso il mio viaggio nel calcio mi ha lasciato qualcosa, e da ognuna ho cercato di imparare. Da quelle che ho conosciuto per poco tempo a quelle che sono diventate delle vere e proprie compagne di vita. Con Giulia Orlandi giocavamo a casa insieme prima di andare agli allenamenti, eravamo le scriccioline del gruppo (in effetti eravamo minuscole). Da lì i nostri primi soprannomi, Giulina e Simoncina. 
Con Alia Guagni passavamo praticamente intere giornate insieme. Prima sui libri e poi in campo, per coronare insieme non solo traguardi calcistici, ma anche di vita. Ci siamo laureate con un giorno di distanza… e la sera eravamo insieme a giocare la finale di un torneo estivo.



Con Elena Bruno, anzi “Briciola”, ho capito quanto siano forti i legami che costruisci in quel rettangolo verde, in quello spogliatoio, in quel gruppo. Legami che niente e nessuno può spezzare.
Con Ilaria Leoni abbiamo affrontato insieme talmente tante avventure, che la considero come una sorella. In ogni squadra in cui ho giocato, ho avuto la fortuna di condividere il campo con lei… e di sentirmi le spalle protette.



Con Eleonora Binazzi siamo salite insieme in prima squadra, e da lì siamo diventate delle vere e proprie complici.
Con Carmela Anaclerio e Diletta Crespi abbiamo creato un'amicizia indelebile, dopo gli allenamenti vivevo praticamente a casa loro e non scorderò mai tutti i sorrisi che abbiamo costruito insieme. 



È praticamente impossibile menzionarle tutte, ma ognuna di loro mi ha insegnato davvero tanto.



Che brividi questi tuoi ricordi e tutte queste persone...non solo calciatrici, persone, che tu hai mostrato nel loro lato più bello e umano, pensiamo sempre di conoscerle ma ogni nuova sfumatura fa scoprire sempre cose nuove a noi appassionati.
Il tuo ruolo è sempre stato quello di difensore, oppure ne hai provati altri prima di questo? e chi ha scoperto la tua predisposizione per il ruolo?

Sinceramente ancora oggi non saprei dire qual è il mio ruolo, li ho fatti praticamente tutti ad eccezione del portiere. Nasco da attaccante perché quando arrivai a Firenze mi chiesero che ruolo mi piaceva fare, e io risposi che volevo fare goal. Poi per tanti anni ho giocato trequartista, soprattutto nelle giovanili con mister Roberto Bongi, che è uno dei mister che mi ha dato più fiducia e con mister Massimo Del Bimbo, il mister con cui abbiamo vinto lo scudetto Primavera. Con mister Francesco Ciolli, in prima squadra, ho iniziato a giocare sulla fascia, uno dei ruoli nei quali mi riconosco maggiormente. E con mister Sauro Fattori ho giocato sia come centrocampista, nel centrocampo a tre, sia come quinto di difesa. A Castelfranco mi presentai come centrocampista, ma in realtà ho praticamente sempre giocato esterno di difesa. Solo in una partita il mister Alessandro Pistolesi mi mise più avanzata e quando feci goal mi ricordo che mi disse che “l'allenatore non capiva niente”. Avendolo convinto delle mie doti offensive, l'anno della promozione in serie A ho giocato tutto l'anno come difensore centrale, coronando così il mio "palmares" di ruoli. 

Infatti io ti conosco, sempre per sentito dire ahimè, proprio come centrale. Però a detta di tutti hai piedi molto educati per il ruolo..e ora capisco perchè!
Dal 2006 si schiudono per te le porte della prima squadra; com'era il Firenze di quegli anni? chi erano le veterane, e quali sono quelle da cui hai imparato di più?

Quando arrivai in prima squadra mi prese sotto la sua ala il capitano, Serena Patu. Da lei ho imparato tantissimo, soprattutto mi ha insegnato a credere in me stessa. Vivevamo praticamente al campo, andavamo prima degli allenamenti per assistere a quelli della giovanile, e ogni weekend cercavamo di non perderci una partita delle più piccole, e poi era bello vederle in tribuna durante le nostre gare.
Le più grandi per me sono sempre state un esempio da seguire, le prime "straniere" della nostra squadra sono state Elena Bruno e Elisabeth Spina. Sì, “straniere”... perché non erano di Firenze come praticamente tutta la nostra squadra. Entrambe hanno portato a Firenze un esempio di professionalità, lasciando una vera e propria impronta da seguire.


Poi c'era Daria Nannelli, con quel suo sorriso inconfondibile...Eleonora Benucci, con una grinta fuori dal comune... Francesca Baglieri, Sara Colzi, Martina Pitzus e tantissime altre.
Il Firenze di quegli anni era semplicemente "casa mia", il campo dove ci allenavamo era fatto di terra e sassi...e quando pioveva l'allenamento diventava a base di scivolate nella mota. Ogni partitina sembrava la finale di Champions e dopo l'allenamento mangiavamo tutte insieme la pizza al campo.

Le "straniere" Elena Bruno e Elisabeth Spina, mi hai fatto ridere ma anche riflettere...in questa odierna Fiorentina intercontinentale sembra che i tuoi siano ricordi vecchi di decenni, invece sono recentissimi. Tutto cambia..forse anche troppo repentinamente, e non sempre  in meglio. 
Quali sono i tuoi ricordi più belli in maglia viola? 

Le esperienze vissute a Firenze sono tutti indelebili, a partire dalle preparazioni atletiche alle infinite trasferte. Un anno siamo andate a giocare contro la grande Torres in traghetto, e al ritorno abbiamo fatto il biglietto con passaggio ponte invadendo la hall e imbastendo una partitina di calcio indoor. 


Un altro anno siamo andate a giocare a Bari con il mitico pulmino del presidentissimo Luciano Bagni, una trasferta a dir poco infinita… ma era proprio in questi momenti che allenavamo una delle nostre più grandi doti: il GRUPPO. 
Come si potrebbero scordare le preparazioni nel "famosissimo" boschetto? I primi giorni facevamo già 45 minuti di corsa continua... e a volte era considerato “solo” riscaldamento. Un anno invece si ebbe la fortuna di fare la preparazione in Corsica, anche lì c'era un "boschetto" che ci aspettava, ma dopo infiniti minuti di corsa in salita e nella sabbia la cosa più bella era fare un ultimo scatto verso il mare.
Ogni ricordo viola meriterebbe di essere raccontato, ma uno di quelli a me più cari è lo scudetto primavera che abbiamo vinto nel 2007.
Prima di arrivare a quel giorno, però, ci fu un percorso indimenticabile fatto di partite il sabato in prima squadra e la domenica in primavera. Un anno intero dove nel weekend costruivamo il nostro sogno, dove lottavamo per la salvezza in serie A e per vincere il campionato in primavera.



La mattina di quel giorno, mentre la mia squadra si trovava in ritiro a Gradisca d'Isonzo, io ero a sostenere l'orale della maturità (esame che avevo fatto spostare di prima mattina per poter partire e arrivare in tempo alla finale). Mi ricordo che appena uscita dall'aula sono tornata di corsa a casa per prendere il borsone e partire insieme ai miei genitori e mio fratello (da sempre i miei primi sostenitori). La sera di quel giorno ero in campo a vivere una partita surreale... con ben due rigori non realizzati dal Torino, un goal annullato e un goal di Elena Bruno che mai scorderò. 


Tornando verso Firenze scrivemmo la nostra versione di "Una su un Milione" di Alex Britti, che da quel giorno per me è diventata la versione "ufficiale".

“[…] Crediamoci e vedrai, insieme vinceremo
Qualche metro in più e lo scudetto toccheremo
Più grandi nel Ducato più forti del Torino
Faremo una finale con un pubblico divino.
Andremo su un campo che sembra indiavolato
Con due rigori enormi, però tirati a lato
Per quanto mi riguarda ancora non ci credo
Dammi un pizzicotto per vedere se l’è vero.
AMO AMO IL NOSTRO TRICOLORE […]”

Una volta arrivate a San Marcellino la cantammo davanti ai nostri tifosi, o meglio i nostri genitori, e strette in un abbraccio con il nostro presidentissimo Luciano Bagni incorniciammo il primo scudetto della storia del Firenze.




In prima squadra ogni anno avevamo un obiettivo importante da conquistare… che fosse la promozione o la salvezza in serie A.
E sono proprio questi obiettivi conquistati alcuni dei miei ricordi più dolci.



Un anno si giocò l’ultima partita di campionato, già matematicamente salve, tutte con i capelli tinti di viola:




Un altro anno, nella stagione 2012-2013, riuscimmo a vincere con il blasonato Bardolino sia in casa nostra per 1-0, in una partita interminabile, sia in casa loro per 0-4. Quell'anno ci definirono la loro "bestia nera”. Al termine di quella stagione indimenticabile, si pareggiò in casa col Brescia e al triplice fischio finale sembrava si fosse vinto lo scudetto. 
Un'altra stagione indimenticabile fu quella della conquista del 4° posto in serie A nel 2014-2015… il risultato migliore con la maglia dell'Acf Firenze ottenuto in serie A, nonché l’ultimo anno con quella maglia. Lottavamo per il sogno di diventare Fiorentina, e fu un anno in cui ad ogni partita acquisivamo consapevolezza e costruivamo un “biglietto da visita” sempre più invitante per il club viola. La cosa assurda fu che dopo un’annata del genere, dove eravamo a un passo dalle big del campionato… per noi si prospettava un bivio: il fallimento o la trasformazione in Fiorentina Women’s. E dopo un’estate a lottare per i nostri diritti, riuscimmo a coronare il nostro sogno… e credo che sia merito di chi ha portato così in alto l’Acf Firenze se oggi possiamo vedere la Fiorentina Women’s ai vertici del campionato di serie A.


Il bello della maglia viola è che per noi era una vera e propria seconda pelle. Infatti anche quando non eravamo tra le mura di San Marcellino, non riuscivamo a non stare insieme… e tantomeno lontane dal pallone. Un’estate, infatti, ci siamo iscritte al campionato di beach soccer… vincendo la prima edizione femminile in Italia. Quell’anno conquistammo la promozione in serie A e il titolo di campionesse d’Italia di beach soccer.



Un’altra estate, da giugno ad agosto 2013, ci selezionarono in quattro di Firenze per prendere parte al primo anno di un progetto che piano piano è diventata una vera e propria realtà calcistica. Partecipammo al campionato di calcio femminile americano WPLS (Women’s Premier Soccer League) con la squadra rappresentativa italiana AC Seattle. 



In questa esperienza ho avuto la fortuna di giocare di nuovo insieme a Alessandra Nencioni e Alessandra Barreca, con le quali ho giocato condiviso la maglia viola, di conoscere tantissime ragazze e di avere come allenatore Antonio Cincotta che, anche se per pochi mesi, mi ha insegnato molto. 
Con l’Ac Seattle abbiamo vinto la Northwest Conference e l’Evergreen Cup, approdando alle finali nazionali in California. 


È stata una vera e propria esperienza di vita, oltre che una indimenticabile esperienza calcistica. Ho dei ricordi indelebili fin dal primo giorno a Seattle. Infatti, come mi è capitato spesso, anche in questo caso il calcio si doveva intersecare perfettamente con la mia vita fuori dal campo… e per questo dovetti partire il giorno dopo rispetto alle mie compagne di squadra per poter sostenere uno degli esami più difficili della mia carriera universitaria. E dopo uno dei 30 più inaspettati presi due voli e dopo 11 ore di viaggio raggiunsi le mie compagne. In pieno jet-leg feci il primo allenamento, poche ore dopo essere atterrata e dopo un pranzo in pieno stile americano con hamburger e patatine, e mi ricordo che il compito più arduo fu quello di non inciampare direttamente tra i miei piedi (sinceramente una volta non riuscii ad evitarlo). 



Sono stato letteralmente travolto dal treno dei tuoi ricordi, non mi permetto di aggiungere nulla tranne la mia soddisfazione per aver finalmente conosciuto la vostra versione di Una su un milione; Alessandra Nencioni mi aveva accennato a questa rivisitazione nella sua intervista ma ora conosco anche una parte di testo, siete fantastiche!
E complimenti per tutto, davvero, anche per quell'esperienza negli States così importante per te e le tue compagne.
Pur essendo difensore hai segnato anche dei goal; qual è quello che ricordi con più piacere, il primo a cui ripensi quando ti perdi, come tutti noi, in dolci malinconie?

Uno dei goal più belli è quello che feci in Calabria nelle final 4 per lo scudetto primavera contro l'Atalanta nella stagione 2005-2006. Mi ricordo che allo scadere dei tempi regolamentari si fece un’azione bellissima, e su assist di Alessandra Barreca feci un tiro di sinistro da fuori area che ci portò ai rigori. Corsi verso la panchina per abbracciare tutte le mie compagne e mi ricordo, come se fosse oggi, mio fratello che si lanciò giù dagli spalti insieme ai nostri tifosi, per festeggiare insieme a noi.
Un altro goal che mi ricordo fu quello contro il Napoli, in serie A2. Giocare a Napoli era sempre emozionante, la loro tifoseria era inimitabile e le partite con loro erano sempre difficili. In quella partita avevo un risentimento muscolare e per giocare mi ricordo che mi fasciarono con un parastinco che premeva su quel punto. Quando segnai infatti corsi subito dalla nostra massaggiatrice e, se non fosse che era scomodissima come fasciatura, l’avrei riproposta ad ogni partita!
Un altro goal che non scorderò mai è il primo goal in serie A col Venezia. Quella partita non poteva giocare Giulia Orlandi e mi ricordo che giocai nel suo ruolo, e con il suo numero 8. Infatti quando segnai corsi sotto la tribuna per dedicarlo a lei.




Il primo goal a Castelfranco, in realtà, come direbbe Benedetta Greco… forse doveva essere più un cross che un tiro, ma diventò un tiro di sinistro che si infilò al sette.



Altri due goal che ricordo molto bene sono quelli con il Ligorna, l’anno della prima promozione in serie A con l'Empoli in una partita difficile dato che nella gara di andata non eravamo riuscite ad andare oltre lo 0-0 e quello con la Roma nel 2018-2019, l'anno della seconda promozione in serie A.



Vorrei solo che qualcuno li avesse filmati o immortalati questi goal, peccato che tutto questo splendore vada perso. E io che, come ti ripeto, ti credevo una centrale che non vedeva praticamente mai la porta...sei una sorpresa continua!
Il 2015 è un anno fondamentale per il calcio femminile gigliato, con l'affiliazione alla Fiorentina la società diventa solida e sicura, ma si perde per sempre la magia di una squadra, quella del Firenze, che è nata dalla passione di grandi sognatori come Luciano Bagni e Andrea Guagni, presto non esisteranno più società così. Ti manca il Firenze, e l'idea di una squadra come il Firenze? 

Firenze è stata più di una squadra, per gran parte della mia vita è stata una “seconda casa”… e al suo interno ho stretto legami non molto diversi da quelli familiari. Sono molto contenta di ciò che ho vissuto lì, di ogni pietra che ho visto mettere per costruire ciò che vediamo adesso, di aver contribuito a mettere quelle basi che ci hanno permesso di coronare un sogno che custodivamo da sempre dentro di noi. 

E che permetterà di coronare sempre più facilmente il sogno di coloro che arrivano e arriveranno dopo di voi.
Dopo il Firenze, arriva per te il Castelfranco del mio amico Pistolesi, un'altra società gloriosa al suo ultimo anno di esistenza, in pratica in due anni hai visto i due tramonti delle squadre toscane tra le più importanti di sempre. Ora, a me il Castelfranco piace già dalle maglie, aveva due maglie bellissime, sia quella bianca che quella gialloblu, e non so cosa darei per averne una, la mia è la classica nostalgia per una cosa mai vissuta. Cosa ci puoi dire dell'ultima stagione del Castelfranco, e come è stato per te indossarne per l'ultima volta la casacca?

L’estate del passaggio da Firenze a Castelfranco fu molto difficile, dovevo scegliere un posto dove poter continuare a giocare nonostante il mio lavoro, che non mi permetteva di allenarmi nel primo pomeriggio come avrebbe fatto la Fiorentina e come facevano già molte altre squadre. La mia scelta aveva molti vincoli, sia logistici che personali… quest’ultimi dovuti al mio intento di cercare quei livelli di professionalità che avevo vissuto fino a quel giorno, perché una delle cose più importanti che mi ha trasmesso Firenze è la mentalità. Diventare “Professioniste” in un mondo che considera il calcio femminile “dilettantistico” è un percorso difficile, ma io posso dire di aver avuto la fortuna di sentirmi tale sia a Firenze che a Castelfranco.
Nello scegliere quel posto mi sono portata un pezzettino del mio Firenze, anzi in realtà un pezzettino di cuore. E con le migliori compagne di viaggio che potevo sperare, abbiamo iniziato una nuova avventura.



 Non scorderò mai il primo allenamento a Castelfranco, appena arrivai mi sentii completamente spaesata. Per una vita avevo avuto le “chiavi dello spogliatoio” di Firenze e adesso, entrando in una nuova realtà, non conoscevo praticamente nessuno. Infatti mi sedetti dove vidi un posto libero, senza accorgermi che ero nello spogliatoio delle più piccole. Solo alla fine della prima giornata di preparazione una ragazza mi invitò a sedermi nello spogliatoio della prima squadra. Quello è stato il primo di altri innumerevoli “semplici” gesti che mi hanno fatto capire che avevo trovato una seconda “seconda casa”. Non a caso, il loro motto era “Castelfranco=Casa”.



Come non scorderò mai il primo allenamento, tantomeno scorderò mai la prima partita di coppa Italia. Il destino mi condusse in una delle prove più difficili della mia carriera, era la prima volta che indossavo una maglia diversa… e scesi in campo contro quella che era stata da sempre la mia maglia.
Mi ricordo che ritrovarmi sulla stessa fascia con Alia Guagni, e non passarle la palla in profondità come avevo sempre fatto, fu difficilissimo.
Quel primo anno noi, che arrivavamo da Firenze, avevamo un unico solo obiettivo: tornare in Serie A. E anche se non potevamo dirlo ad alta voce, perché era un obiettivo travestito da sogno… fin dal primo allenamento iniziammo a costruire quel percorso che in 5 anni ha visto due promozioni in Serie A e due semifinali di Coppa Italia, quando ancora non eravamo nella massima serie.


Mai avrei pensato, dopo aver vissuto tutta la mia vita calcistica in viola… di poter avere spazio dentro di me per altri colori. Ma ciò che ho trovato a Castelfranco è difficile da descrivere e il mio cuore, da quel giorno, si è tinto di due nuovi colori… il giallo e il blu. 


Vedi, credo che una persona quando perde una casa, intesa anche come punto di riferimento, non abbia altra scelta che  trovarne un'altra, adattarsi a un nuovo ambiente, magari pian piano e coi piedi ben piantati in terra ma al tempo stesso con fiducia e credendoci, solo così poi si riesce a innamorarsi ancora. A pochi è dato vivere una vita in una sola casa o di amare una sola persona, e spesso non per colpa nostra, ma bisogna riadattarsi, questo non è tradire, ed è giusto che nel tuo cuore ci siano più colori e in tante sfumature, un cuore grande può contenere tutti i colori e le emozioni del mondo, se poi le sa amare e custodire come certo saprai sempre fare tu.
Poi il Castelfranco diventa Empoli ladies, la vostra seconda pelle diventa azzurro cielo, e sono anni difficili ma anche belli, tra retrocessioni amare e promozioni meravigliose; ci racconti i tuoi momenti magici in maglia azzurra, i tuoi ricordi più belli sia a livello individuale che di squadra?

Ogni anno in cui ho indossato la maglia azzurra è pieno di ricordi e di emozioni. Il primo anno di Empoli Ladies abbiamo conquistato la promozione in Serie A, una promozione che non avevamo raggiunto l’anno prima per un solo punto e che abbiamo coronato all’ultima giornata di campionato.


In quella partita entrammo in campo col sorriso, nonostante la tensione che avevamo dentro. Ma eravamo convinte che tutto fosse nelle nostre mani, per questo giocare quella “finale” non fu molto diverso da ogni domenica che ci aveva portato e preparato a quel giorno. Mi ricordo che mi voltai verso gli spalti e, nonostante fossimo in trasferta, l’unico colore che si vedeva era l’azzurro. I nostri primi tifosi, che erano i nostri familiari, si sono arricchiti negli anni grazie ad amici e persone appassionate di calcio e di Empoli, come il nostro primo tifoso Andrea Arzilli, che una volta conosciuto il nostro calcio pieno di passione e dedizione… non sono più tornati indietro.
Una delle cose più belle che disse una nostra “futura” compagna di squadra, vedendo la foto della nostra promozione, fu che in quella foto si racchiudeva l’essenza di Empoli. Perché la nostra foto era un vero e proprio “caos”… con giocatrici, staff, genitori, amici e tifosi stretti in un unico abbraccio. Quel sogno che si chiamava “Serie A” era diventato realtà.




Il primo anno nella massima serie fu un anno in cui non riuscimmo ad esprimerci come avremmo dovuto e voluto. Fu un anno che ci mise alla prova, venivamo da due anni di vittorie e dovemmo confrontarci con una realtà diversa e, seppur consapevoli, non riuscimmo a dimostrarci abbastanza pronte per la categoria. Fu un anno difficile sotto tutti i punti di vista, calcistici e individuali. Chi decise di restare al suo termine, nonostante tutto, lo fece con la volontà di ritornare sul gradino più alto… pronte per restarci e da lì imparare a volare. Iniziammo a guardare avanti, voltandosi indietro solo per non dimenticare tutti gli insegnamenti che una sconfitta ti può dare. Perché nel calcio “o si vince, o si impara”… e con questa convinzione ci siamo prese per mano e ci siamo rialzate.



Chi rimase sapeva per cosa lottare, non era più un sogno da realizzare ma un percorso da maturare e un traguardo da coronare. Le ferite erano ancora aperte, ma il gruppo fu integrato da persone che avevano storie diverse ma al contempo simili, e questo creò un mix perfetto di voglia di riscatto e di nuove esperienze atte a costruire un progetto a lungo termine. E per questo, la promozione non sarebbe stata un salto nel buio... ma un primo passo verso la luce.




E infatti, chi ha allontanato praticamente tutta la vecchia rosa che ha portato l'Empoli in A, a cominciare da te e Elisa Caucci (errore madornale non solo a livello tecnico, ma anche perchè nel nuovo Empoli non ci sono molte giocatrici di esperienza per prendere per mano le giovanissime, e ho idea che questa cosa peserà a livello di spogliatoio, anche se ovviamente mi auguro di no vista l'eccelsa qualità, non solo calcistica, di molte singole) se lo sarebbe dovuto ricordare di voi e dei vostri sacrifici, nessuno mi toglierà mai dalla testa che sono state mandate via persone che questo progetto lo avevano ben chiaro e lo stavano portando avanti egregiamente. 
So che l'ultima stagione per te non è stata facile, iniziata in salita e nemmeno terminata a causa del covid. Ma come ti senti, adesso, Simona? personalmente su una grande giocatrice come te punterei molto, avresti ancora tanto da dare a livello tecnico e umano, e ad alti livelli; ti senti pronta a nuove sfide? non credo che la serie A e il calcio femminile possano permettersi di fare a meno di te.

Quest’anno è stato sicuramente un anno molto particolare, iniziato con un infortunio nell’ultima amichevole prima dell’inizio del campionato che ha delineato un percorso personale in salita che è stato molto difficile da compiere.
Personalmente credo che il calcio faccia parte di me e che non smetterò mai di portarlo in tutto quello che vivo. Da quando ho scelto di giocare ho sempre conciliato la mia passione con la mia vita, facendo tante rinunce che non sono mai sembrate tali, perché quando fai qualcosa che ami… ogni sacrificio viene ripagato. Ho sempre intrapreso la mia carriera calcistica con la consapevolezza che dovesse integrarsi alle mie scelte di vita, è così è sempre stato…sia per il percorso di studi, sia per quello lavorativo. Sono contenta di aver avuto la possibilità di giocare ai massimi livelli, nonostante il fatto che la mia giornata fosse caratterizzata da sveglia presto la mattina e permessi lavorativi per fare la doppia seduta in palestra. La cosa più bella è che credo che proprio questo “sacrificio” quotidiano abbia valorizzato ancora di più la mia esperienza calcistica, perché se riesci ad organizzare la tua giornata in funzione dei tuoi obiettivi… metti ancora più passione per raggiungerli e coronarli.



Credo di essere pronta a nuove sfide e a cercare di mettere le basi per nuovi traguardi da perseguire. Ho un sogno nel cassetto che mi piacerebbe iniziare a costruire, per conciliare due delle mie passioni più grandi: il Calcio e il Sociale. Questo sogno mi nasce da dentro, da mio Zio… che è il mio esempio di forza e sportività. È grazie a lui che da anni sogno di allenare una scuola calcio di bambini e bambine con sindrome di down e altre disabilità intellettive. Per poterlo fare, competentemente, voglio prima di tutto iniziare un percorso formativo che mi permetta di imparare a conciliare due mondi così importanti per me. Quest’anno ho iniziato ad allenare con la Insuperabili Reset Academy di Firenze, un progetto bellissimo che sposa ogni mio principio di calcio e di vita. Grazie all’opportunità che mi hanno dato ho iniziato a intraprendere i primi passi in un cammino che non vedo l’ora di continuare.



E anche qua non aggiungo altro se non il mio plauso, è stato bellissimo tempo fa confrontarsi con te anche sulle nostre esperienze nel sociale e mi ha fatto tanto piacere che tu ne abbia parlato in questa intervista...nessuno meglio di te può capire questa realtà, non solo per averci sempre convissuto, che da sempre è è il miglior modo di accettarla per quello che è, non come un'anomalia da affrontare ma come una normalità alternativa, non pietà ma pietas, un qualcosa del tutto diverso, un sentimento di profondo affetto per una persona cara che poi hai esteso a tutte le altre persone come lui.
Questo progetto, che porterai a compimento perchè  ho scommesso con te sulla tua riuscita e io sono come Zio Paperone che scommette solo quando è sicuro di vincere, lo seguirò con molto interesse, sarà bello vederlo nascere, evolvere e diventare realtà.
Ultima domanda; quale futuro vedi per il movimento? quali sono per te gli obiettivi più realisticamente alla portata?

Credo che il calcio femminile abbia intrapreso un percorso di crescita significativo e credo che il prossimo passo debba essere il professionismo per permettere alle ragazze di avere maggiori tutele e maggior riconoscimento. L’ingresso delle squadre professionistiche maschili ha consentito a tante società di garantire alle proprie calciatrici livelli organizzativi che prima non erano possibili, mettendo a disposizione strutture e staff competenti che permettono il salto di qualità. Ma anche le realtà non strettamente legate a una compagine maschile stanno dimostrando di avere progetti importanti e ambiziosi. Quella che credo che possa essere una chiave importante per il futuro, che tante realtà hanno già iniziato a fare, è quella di amalgamare il calcio femminile di ieri con quello di oggi. Perché l’esperienza di chi ha vissuto un calcio femminile fatto di pura passione messa a disposizione di chi sta rendendo il calcio femminile una professione, credo possa essere il connubio perfetto per portare il movimento sempre più in alto.

"Amalgamare il calcio femminile di ieri con quello di oggi..." in una frase hai detto quello che cercavo invano di esprimere coi miei panegirici. Si, credo sia la ricetta perfetta per far decollare definitivamente il calcio femminile, ma i recenti terremoti mi fanno pensare che invece le società stiano cercando di cancellarlo quel passato, quasi fosse qualcosa di cui doversi vergognare, e si, in parte lo è, ma non per questo bisogna dimenticare, anzi è solo ricordando la miseria di ieri che si costruisce una vera ricchezza nell'oggi, per questo credo che sarete voi, le testimoni di quel calcio picaresco, sbagliato ma che si reggeva su valori autentici, le uniche in grado di insegnare e tramandare tutto il buono di un'epoca che presto scomparirà, tu e tutte le grandi giocatrici che hanno permesso al calcio femminile italiano di spiccare il volo, voi che avete regalato un sogno a tante ragazze (anche se per me fino a che non sarà confermato dai fatti il professionismo dal 2022/2023 rimarrà una promessa elettorale) ma anche dato modo ai faccendieri di speculare e lucrare, e spero che quindi per te e le tue compagne ci sarà almeno della riconoscenza, che vi venga permesso di allenare ad alti livelli, gli allenatori uomini nel femminile spero siano sempre meno o che perlomeno  siano cresciuti nel movimento come Pistolesi e Cincotta, ma sarete voi che dovrete guidare le campionesse che verranno, dovete essere presidenti, DS, talent scout e manager, perchè le società non terranno conto del cuore, voi "ragazze per sempre" invece si. 
Ti rimangono i ricordi incredibili e indelebili con cui ci hai emozionato, e  i grandi sogni che hai, il calcio è la tua vita e grazie ad esso hai volato e volerai alto, perchè di te io mi fido, e ti vedo ancora come una promessa, una giovanissima esordiente in un'altra frontiera di quel calcio che un giorno si accorgerà di avere un gran bisogno di te, e ti tenderà supplicante una mano che tu afferrerai, perchè anche se il calcio qualche volta ti ha fatto del male tu non saprai dirgli di no. 
Tieni libera una parte del tuo cuore, Simona, perchè in esso si depositeranno presto tanti altri colori, e sarà bellissimo, diventerà un arcobaleno che illuminerà la strada di tante persone, perchè di calciatrici ce ne sono tante, di Simona Parrini ce n'è una sola.





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